«Dove andiamo quando camminiamo nel buio del futuro?». Partendo da questa domanda il regista Leonardo Lidi spinge a sorprendenti conseguenze la sua ricerca sul tema della Famiglia a teatro. Così, dopo aver interpretato Agamennone per la regia di Antonio Latella, dopo aver diretto Spettri di Ibsen alla Biennale Teatro di Venezia, ecco Lo zoo di vetro, ovvero la storia della famiglia Wingfield. Portato ripetutamente e con successo sul grande schermo, questo testo è forse il più autobiografico di Tennessee Williams e, per il regista permette di indagare «le dinamiche basilari ed elementari del nostro inizio e di farlo in maniera attiva, scomponendo e toccando senza preoccupazioni l’universo proposto dall’autore. Come si muove la famiglia nel tempo? Come si sposta il teatro tra i secoli? Tom/Tennessee, come suo padre, apprende l’arte del fuggire, ma rimane comunque ingabbiato in un album di fotografie, vive in un limbo tra i tempi e l’unica cosa che può fare, per tentare di progredire e di raggiungere un nuovo luogo, è raccontare al pubblico un pezzo della propria storia…».
Nelle scene di Nicolas Bovey, con la storica, solidissima traduzione di Gerardo Guerrieri, l’allestimento è spinto all’estremo, assume toni paradossali e dolenti, in una dimensione decisamente anti-naturalistica e addirittura clownesca, affidato a un gruppo di bravi interpreti.
Come ha scritto Renato Palazzi sul Sole 24 Ore: «Lidi, un ottimo attore che si sta ora affermando come regista emergente della generazione under 40, dà di questa vicenda ben nota una lettura spasmodicamente approfondita e al tempo stesso prepotentemente personale, rispettosa di Williams e, insieme, proiettata in una sua esasperata autonomia inventiva… E gli attori aderiscono alla perfezione a questa gabbia intellettuale»
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