Da Giano a Barbarossa: storie  intrecciate delle mura di Genova

Tra il 1099 e il 1100 viene sancito quello che già si prevedeva da tempo. La città di Genova ottiene finalmente l’autonomia dall’impero, legata ai soli vincoli di fedeltà e difesa dei mari dai barbari.

La città esce dal dominio dei feudatari, i marchesi Obertenghi e accanto alla figura del vescovo si formano associazioni di cittadini molto vivaci: le compagne. Esse erano delle associazioni di mercanti – guerrieri che legate da un patto di fedeltà si prestavano a compiere determinate imprese. Ascendono al potere in fretta ed è proprio per questo che Genova nel Medioevo è maggiormente nota come “Compagna Communis”, amministrata da consoli, podestà e capitani del popolo fino al 1339.

La volontà della città ora è di costituire un dominio delle Riviere e un controllo dei porti del golfo. Nel 1150  tutta la Liguria divenne dominio della città, che ottenne anche da Corrado II re di Germania di battere  la prima moneta genovese (1138).

Finché non arrivò Federico I di Svevia che voleva a tutti i costi uno sbocco sul mare e la restaurazione dell’autorità imperiale. Nel 1158 il sovrano convocò la dieta di Roncaglia in cui riunì le città lombarde ma anche ambasciatori genovesi. Il Caffaro – celebre annalista dell’epoca – raccontò che il sovrano elogiò le doti mercantili e artigianali dei cittadini, proponendo infine di sottoporre Genova al suo dominio. Gli ambasciatori – tra cui anche Oberto Spinola - rifiutarono l’accordo e così Federico propose loro un’alleanza contro il re di Sicilia. Altro desiderio espansionistico del sovrano.

Ritornati in città, gli ambasciatori riferirono ai Consoli e al popolo; accennando anche alla minaccia fatta da Federico. Egli infatti avrebbe ordinato la distruzione della città e l’uccisione di tutti i suoi abitanti. Questo risvegliò la grinta del popolo genovese. Infatti uomini, donne e bambini si misero subito al lavoro innalzando una possente cinta muraria (già cominciata qualche anno prima). Lavorando giorno e notte, la costruzione venne completata nell’arco di due mesi. Anche l’elite aristocratica si mise a disposizione, fornendo cibo, materiali e attrezzature per coloro che erano al lavoro. Completato ciò, i genovesi avvisarono il re di Sicilia delle intenzioni di Barbarossa. Quest’ultimo decise infine di non vendicarsi su Genova perché consapevole degli straordinari preparativi di guerra attuati dalla popolazione.

La fortificazione delle mura genovesi in realtà cominciò nel 1155, quando la situazione politica internazionale si fece instabile, proprio a causa di Barbarossa, che assediò Tortona e Milano.

Così Genova ampliò le proprie mura, che ora inclusero anche le tre aree di Castrum – Civitas – Burgus che erano rimaste escluse dalle mura romane. Il castrum indicava la zona della collina di Castello, La civica invece l’area cittadina di San Lorenzo e il Burgus la zona di San Siro. La cinta muraria partiva dalla Chiesa di Santa Croce, passando per via del Colle dove oggi si possono ammirare alcuni resti in via delle Murette e vico chiuso di San Salvatore. Da via del Colle si arriva a Porta Soprana, visibile ancora oggi, e da cui partono altri 2,5 km di mura che chiudono un territorio di 55 ettari. Includendo Piazza Dante, Piccapietra, Galleria Mazzini e Piazza delle fontane Marose. A chiudere il cordone di mura vi erano i tre celebri portali: Porta Soprana, Porta dei Vacca e Porta Aurea (in zona Piccapietra) andata distrutta nel XX secolo. Le porte urbane genovesi non avevano solo ruolo difensivo perché sono anche depositarie di significati storici più profondi.

In epoca medievale infatti si attuò una ricerca di identificazione etimologica del nome della città. Inizialmente Genova poteva derivare da “gena” quindi: guancia, bocca o città di sbocco; oppure da “genu” quindi ginocchio. Però la teoria più curiosa fu quella che accostava il termine Genova a “ianua” cioè porta. Da qui la leggenda che fece risalire l’origine della città al dio Giano, il dio bifronte, custode della porta sacrale che delimita la guerra e la pace. Come Giano infatti Genova ha due volti, uno sul mare e uno sulla terra. Testimonianza della leggenda è l’epigrafe situata nella cattedrale di San Lorenzo.

Simbolo della grandiosità dell’impresa è Porta Soprana,  chiamata così perché innalzata rispetto al piano cittadino, è visibile ancora oggi grazie ai numerosi restauri – da parte dell’architetto Alfredo D’Andrade - che hanno contribuito a mantenerla intatta.

 

Porta Soprana o anche detta Porta di Sant’Andrea venne costruita tra il 1155 e il 1159; sotto la direzione di Guiscardo, Giovanni Bono Cortese e Giovanni di Castello. Le due alte e grosse torri laterali affiancano l’apertura della porta ad arco ogivale  verso l’esterno e ad arco tondo verso l’interno.

 Il portale era l’ingresso principale alla città e dominava il colle di Sant’Andrea, così chiamato in onore di un vecchio monastero poi demolito per costruirvi piazza Dante e quello che è attualmente il Palazzo sede della Banca d’Italia. Si accede al portale tramite una salita, ciò che rimane di Vico Dritto di Ponticello, alla base di cui si trovava la presunta abitazione di Domenico Colombo, padre del celebre navigatore. Alla sinistra di Vico di Ponticello vi era l’omonima piazza, fervente centro di scambio e attività cittadine, pullulante di case e botteghe. Questa rappresentava la zona popolare della città, abitata e vissuta soprattutto dopo la minaccia Barbarossa.

Le due torri in cui è incastonato il portale rendono onore all’impresa dei genovesi contro Federico Barbarossa. Esse infatti riportano iscrizioni in latino volte proprio a celebrare l’episodio.

Una delle iscrizioni latine di Porta Soprana

L’iscrizione in latino: “ Nel nome di Dio onnipotente, Padre Figlio e Spirito Santo. Amen.
Sono difesa da soldati, circondata da splendide mura
E con il mio valore respingo lontano i dardi nemici.
Se porti pace, accostati pure a queste porte,
Se guerra cercherai, triste e sconfitto ti ritirerai.
Meridione e Ponente, Settentrione e Oriente sanno
Su quanti fremiti di guerra io Genova abbia prevalso.
Nel consolato del comune di Guglielmo Porco, Oberto Cancelliere, Giovanni Maluccelli, e Guglielmo Lusio, e dei placiti Boemondo di Odone, Bonvassallo di Castro, Guglielmo Stangone, Guglielmo Cigala, Nicola Roca e Oberto Recalcati»

Porta Soprana e Porta dei Vacca rappresentano ovviamente i simboli più eclatanti delle mura di Barbarossa. In realtà esistevano altri portali e piccoli varchi che oggi però sono scomparsi. Tuttavia in alcune zone della città – grazie alle numerose opere di restauro degli anni 70 -  sono ancora visibili i residui della cinta muraria. Ad esempio passando per via Ravasco si accede da una scala di mattoni, ad un suggestivo camminamento di queste mura. Altri residui vennero intravisti anche fra Campo Pisano e il coro di San Salvatore, tra la Collina di Santa Caterina e Luccoli, e ai piedi della collina di Castelletto.

“Le mura di Barbarossa” supereranno il ruolo difensivo solo nel XIV ma, verranno utilizzate dalla popolazione anche per il rifornimento idrico della città, attraverso un nuovo acquedotto.

 

Francesca Galleano

 

 

Free Joomla! templates by Engine Templates

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy. Chiudendo questo banner acconsenti all’uso dei cookie.