di Michele Santeramo
Peppino Mazzotta, cura la regia de La resa dei conti di Michele Santeramo. La pièce tocca questioni universali: di che pasta sono fatti gli uomini? Possono avere fiducia gli uni negli altri? Interrogativi senza risposta e senza tempo, nel dialogo tra due uomini sulla propria condizione, alla ricerca di una possibilità altra, un’occasione di salvezza. Cercano una forma di fede, che renda possibile credere che l’uomo può guarire l’uomo.
Chi è l’uomo? Se ne può avere fiducia? La domanda è sempre attuale. Ognuno se la pone quotidianamente a proposito delle persone che incontra e prima ancora, a proposito di se stesso. Di fronte alla scelta tra il bene e il male come ci comportiamo? Perché all’uomo capita di scegliere il male? Anche il proprio male? Perfino quando vorrebbe scegliere il bene? Cosa comporta la libertà di scelta? Che condanna sarebbe se ci rendessimo conto che siamo liberi senza esserne capaci? E se Gesù, decidesse oggi, di tornare sulla terra, come quella volta a Siviglia ai tempi della Santa inquisizione, verrebbe come allora, arrestato e condannato al rogo per aver concesso alle proprie creature una libertà che non potevano gestire? O verrebbe accolto amorevolmente come il salvatore? A e B, nel dramma di Michele Santeramo, affrontano tutte queste gravose domande provando disperatamente a dare delle risposte o più semplicemente, cercando, con commovente candore, di inventare un rimedio che li aiuti a sopportare la loro condizione. In un luogo preparato ad arte, come si potrebbe fare a teatro, cercano una possibilità altra, un’ occasione di salvezza. Tentano di inventare una fede a proprio uso e consumo, che renda possibile credere che l’uomo può guarire l’uomo
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