I conflitti dilanianti, l’assassinio del padre, il processo al figlio parricida. Nuovo adattamento teatrale di un romanzo che tocca i massimi problemi etici.
La prima volta che Glauco Mauri, questo gigante del teatro italiano, si confrontò con I fratelli Karamazov aveva 23 anni. Era il 1953 e interpretò Smerdjakov, con la regia di André Barsacq, e già si faceva notare accanto a nomi oggi mitici come Memo Benassi, Lilla Brignone, Enrico Maria Salerno. Raggiunta con eleganza ed energia indomabile la veneranda età di ottantanove anni, Mauri torna ai Karamazov, si impossessa del ruolo del padre, Fëdor, e si affida alla regia di Matteo Tarasco, con cui firma anche l’adattamento del celebre romanzo.
Nello spettacolo, vera sinfonia per un solido gruppo di attori, a interpretare l’inquieta e tormentata figura di Ivan è Roberto Sturno, da sempre sodale di Mauri. L’esito è un lavoro di altissima fattura, in cui i temi eterni e complessi cari a Dostoevskij risuonano con aspra e vivida freschezza.
Ha scritto Mauri presentando il lavoro: «Per ben due volte la nostra compagnia ha raccontato Dostoevskij. Due assoluti capolavori: L’idiota e Delitto e castigo. Dostoevskij, Shakespeare e Beckett sono stati i tre grandi autori che mi hanno aiutato a capire la vita: la tavolozza dei colori dell’animo umano di Shakespeare, la tragedia del vivere che diventa farsa e la farsa del vivere che diventa tragedia di Beckett e Dostoevskij, che mi ha fatto capire la magnifica responsabilità che ha l’uomo di comprendere quell’essere meraviglioso e a volte orrendo che è l’uomo. La famiglia Karamazov devastata da violenze, incomprensioni, da un odio che può giungere al delitto, oggi appare, purtroppo, un esempio della nostra società così incapace di comprendersi e aiutarsi. Anche l’amore spesso viene distorto in un desiderio insensato di violenza. Ma Dostoevskij è un grande poeta dell’animo umano e da una terribile storia riesce a donarci bellezza e poesia»
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