Palazzo Franco Lercari

Edificato tra il 1571 e il 1578 per Franco Lercari, potente politico e banchiere genovese, al servizio di Carlo V, l’edificio grazie alla sua magnificenza, viene iscritto nelle liste dei Rolli fin dal 1576, sempre al primo bussolo. Giunge, poi, in possesso della famiglia Parodi nel 1845, che ne detiene ancora attualmente la proprietà.

Frutto di un modello architettonico mutuato dalle composizioni di villa “all’antica” (si pensi alla di poco precedente progettazione alessiana per la villa Grimaldi Sauli in Bisagno), il palazzo si apre su Strada Nuova con un fronte che è in realtà un diaframma – con un loggiato al piano superiore – che dà accesso al cortile: soltanto al fondo di quest’ultimo, in posizione laterale, si apre lo scalone monumentale che conduce ai due piani nobili. Particolarmente interessante l’impaginazione del prospetto che vede un registro centrale “vuoto” in corrispondenza della loggia del primo piano, serrato tra due corpi “chiusi” ma terminanti in una serliana, oggi tamponata ma rilevata da Pietro Paolo Rubens nella sua raccolta dedicata ai Palazzi Moderni di Genova (Anversa 1622) che ne alleggerisce la terminazione in corrispondenza del secondo piano nobile.
Una trattazione delle superfici che si fa molto raffinata anche in corrispondenza dell’attacco a terra dell’edificio: trattato a bugnato, interamente realizzato in pietra di Finale, è scandito da lesene, di ordine dorico “rustico” con bugne “a punta di diamante” e aperto in corrispondenza del portale marmoreo, realizzato da Taddeo Carlone e composto da due telamoni dai nasi mozzi, riferimento diretto alla vicenda che vede protagonista Megollo Lercari, antenato del committente e specchio delle sue stesse virtù e capacità di negoziazione. La narrazione della vicenda, però, prosegue nell’affresco del salone del secondo piano nobile – preceduto da un arioso pianerottolo un tempo affacciato sul giardino sulla cui volta Ottavio Semino affresca la Caduta dei Giganti – realizzato da Luca Cambiaso con la raffigurazione delle operazioni per l’Edificazione del fondaco di Trebisonda – affiancato dai salotti in cui Ottavio Semino rappresenta le Imprese della famiglia Lercari – riferimento diretto non solo ai traffici che la famiglia intratteneva, fin da epoche remote, con le proprie colonie nel Mar Nero ma anche (e soprattutto) con il grande cantiere, allora in fieri, di Strada Nuova.
A segnare il passaggio di proprietà dai Lercari ai Parodi è la decorazione del primo piano nobile, il cui salone principale si apre su un pianerottolo che ancora ricorda Franco Lercari e la moglie, Antonia De Marini: le loro effigi accolgono gli ospiti, eternati nel marmo dallo scalpello di Giovan Giacomo Parraca da Valsoldo quali “numi tutelari” della propria dimora, messi in diretto rapporto con le effigi di Carlo V e di Filippo II e con episodi di storia romana, opera di Lazzaro e Pantaleo Calvi (La sfida degli Orazi e dei Curiazi; Orazio Coclite sul ponte; Marco Curzio si getta nella voragine).
Un differente stile decorativo ma una uguale volontà celebrativa connota quindi la volta del grande salone di rappresentanza di questo pia: fatta decorare a tempera dal finanziere Bartolomeo Parodi da Giovanni Quinzio, allievo di Giuseppe Isola, nel 1845, rimanda alle glorie della cultura, della scienza e della tecnica della società contemporanea. Attorniati da un’esuberante decorazione a grottesche si riconoscono infatti riferimenti a Dante, a Manzoni, a Benjamin Franklin, alle ferrovie e alle locomotive a vapore, all’illuminazione a gas così come ai grandi cantieri navali: opere che i finanziamenti della nascente banca del Parodi avrebbero potuto far crescere e prosperare. Gli ambienti intorno, appartenenti ancora al ciclo decorativo commissionato dal Lercari, sono opera di Luca Cambiaso (Uccisione dei figli di Niobe), Lazzaro e Pantaleo Calvi (Ester e Assuero; Abramo e Isacco).

 

(VisitGenoa)

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