Lingua Ligure

Il ligure è un sistema linguistico romanzo tradizionalmente integrato tra quelli galloitalici, come il piemontese, il lombardo e l'emiliano-romagnolo, pur discostandosi da essi per una serie di caratteristiche peculiari.

Sotto questo punto di vista il tipo ligure rappresenta, assieme al veneto, una delle varietà meglio differenziate e riconoscibili nel contesto italiano settentrionale. Essendo classificabile come «dialetto romanzo primario» , in ambito accademico e nella letteratura scientifica è sovente indicato come dialetto ligure.

La denominazione di ligure (o meglio, dialetti liguri romanzi), riferita alle pratiche linguistiche della Liguria e delle aree circostanti è, in realtà, di introduzione recente e non è mai entrata nell'uso corrente.[senza fonte] Essa è stata adottata convenzionalmente, a livello scientifico, come termine che coinvolgesse l'intero contesto regionale, ma questa scelta ha generato qualche confusione con la lingua dei Liguri preromani. Ancor più recentemente, in taluni ambienti, si parla unitariamente di ligure per sfumare il carattere centralista della dizione tradizionale genovese, in uso dal XIV secolo per denominare l'insieme delle varietà liguri-romanze; ancora oggi tuttavia è spesso in uso, fra i parlanti, la denominazione collettiva "genovese" (rimasta in Francia a indicare, anche a livello scientifico, i dialetti liguri[senza fonte]), in alternativa alla quale ciascuna varietà viene denominata con l’aggettivo etnico riferito al centro corrispondente (dialetto savonese, spezzino, intemelio, ecc.). Va ancora chiarito che il modello urbano del genovese è l'unico dotato di solide e consistenti tradizioni letterarie, al punto da essere identificato anche all’esterno come il tipo ligure per eccellenza. La lingua ligure, intendendo per tale il sistema dei dialetti di tipo ligure, si può ritenere una lingua regionale o minoritaria ai sensi della Carta Europea delle Lingue regionali o minoritarie, che all'art. 1 afferma che per "lingue regionali o minoritarie si intendono le lingue [...] che non sono dialetti della lingua ufficiale dello stato".

Diffusione

(LIJ)

« Tanti sun li Zenoeixi, e per lo mondo si desteixi, che und'eli van o stan un'aotra Zenoa ge fan »

(IT)

« Tanti sono i genovesi, per il mondo così dispersi, che dove vanno e stanno un'altra Genova fanno »

(Rima dell'Anonimo Genovese, XIII sec.)

Oggi il ligure, considerato nell’insieme delle sue varianti, è parlato in quasi tutta la Liguria con l'esclusione dell'estremità orientale della regione, intorno alla città di Sarzana, dove i dialetti lunigiani assumono caratteristiche proprie. Varietà di transizione verso gli altri dialetti gallo-italici, ma ancora con nette caratteristiche liguri, sono quelle del cosiddetto Oltregiogo, il territorio che comprende i solchi vallivi al di sopra dello spartiacque alpino-appenninico, includendo anche aree amministrativamente legate ad altre regioni italiane: in provincia di Cuneo, l'alta val Tanaro con i centri di Briga Alta, Ormea e Garessio, mentre i caratteri piemontesi si accentuano nei dialetti della val Mongia (Viola e Pamparato) e di alcuni rami della val Bormida(Monesiglio); in provincia di Alessandria, l'Oltregiogo storico a sud di Ovada e Novi Ligure include i centri diGavi, Arquata Scrivia e Serravalle Scrivia, la val Lemme e la val Borbera, che fecero parte della Repubblica di Genova o furono amministrati come feudi da famiglie genovesi, nonché Garbagna e l'alta Val Curone a sud diBrignano-Frascata; in provincia di Pavia, l'alta val Staffora; in provincia di Piacenza l'alta val Trebbia a sud diBobbio e la val d'Aveto[3] (ma anche in alta val Nure l'influenza ligure è piuttosto accentuata); in provincia di Parma l'alta val di Taro con Bedonia e parzialmente Borgo Val di Taro e parzialmente Bardi e l'alta val Ceno.

Una varietà ligure occidentale denominata monegasco viene tradizionalmente parlata nel Principato di Monaco dove, sebbene non sia lingua ufficiale (status riservato al solo francese, dal 1961), viene però insegnata nelle scuole; in Francia, dialetti liguri di tipo alpino (roiasco e brigasco) si parlano in val Roia (ad esempio nei centri di Briga, Tenda, Saorge, Breil-sur-Roya), mentre a Mentone e a Roccabruna si parla ilmentonasco, una varietà ligure con caratteri di transizione verso il nizzardo. Secondo molti studiosi (Francesco Barberis e Bernard Cerquiglini) un tempo le parlate liguri, lungo la costa si spingevano molto più ad est includendo la stessa Nizza e giungendo fino al fiume Varo, tradizionale confine dell'Italia sin dai tempi di Augusto. Sembra che la provenzalizzazione del dialetto di Nizza ebbe inizio atra il XII e XIV secolo con l'inizio della pressione dei signori di Provenza sulla città e l'afflusso di provenzali in città, durante le fasi di sottomissione della città agli angioni di Provenza. Tutt'oggi si riconoscono tratti liguri nel lessico, struttura e fonetica del dialetto nizzardo (v. Giulia Petracco Sicardi e Werner Ferner, massimo studioso del dialetto ligure)

Circa 10.000 persone in Sardegna tra Carloforte e Calasetta (Provincia di Carbonia-Iglesias) parlano il dialetto Tabarchino formando un'isola linguistica ligure. Ciò è dovuto ad una migrazione di coloni genovesi, soprattutto di Pegli, che a partire dal 1541 si erano trasferiti nella piccolissima isola di Tabarka (Tunisia) su invito della famiglia genovese dei Lomellini (che aveva in concessione quel territorio) per praticarvi la pesca del corallo e il commercio in generale. La permanenza della regione perdurò fino a quando (1738), a causa delle angherie dei corsari barbareschi, dell'esaurimento progressivo dei banchi di corallo e, soprattutto, dell'incremento della popolazione (insostenibile per le minuscole dimensioni dell'isola), venne concordato con il Re Carlo Emanuele III il loro trasferimento nell'allora deserta isola di San Pietro in Sardegna, dove fondarono la città di Carloforte (in onore del Re) e, successivamente (1770), nella costa settentrionale della vicinaisola di Sant'Antioco, la città di Calasetta.

Un'altra isola linguistica genovese è Bonifacio in Corsica, quale conseguenza di un popolamento risalente al XII secolo.

Determinante fu il ruolo delle parlate liguri dell'Oltregiogo occidentale (alta val Bormida) nella formazione in epoca medievale dei cosiddetti dialetti gallo-italici di Basilicata (Potenza, Picerno, Tito, ecc.), e anche i cosiddetti dialetti gallo-italici (o altoitaliani) della Sicilia (Aidone, Piazza Armerina, Nicosia, San Fratello ecc.) presentano una componente ligure, la cui esatta origine resta però da determinare.

Dialetti liguri importati nel XV secolo dalla zona di Oneglia furono parlati fino ai primi anni del Novecento in alcune località della Provenza orientale (Biot, Vallauris,Mons ed Escragnolles) e anche il ramo spagnolo della diaspora tabarchina, stanziato sull'isola di Nuova Tabarca presso Alicante, si estinse soltanto all'inizio del XX secolo. Più a lungo è sopravvissuta la comunità di parlata genovese installatasi a partire dai primi anni del Settecento a Gibilterra (ove gli ultimi parlanti scomparvero verso il 1980), che ha influenzato il dialetto composito attualmente parlato (il Llanito), mentre sono ancora vitali diverse comunità di parlanti in America Latina, soprattutto in Cile, Argentina e in Perù.

Il genovese esportato per motivi storico-politici in vari ambiti del Mediterraneo e dell'Atlantico ai tempi della Repubblica di Genova e durante l'Ottocento ha influenzato notevolmente la lingua corsa, il dialetto greco dell'isola di Chios, la lingua sassarese e altri idiomi; ha contribuito inoltre alla formazione di varietà miste, come il dialetto dell'isola di Capraia (a base còrsa) e quello di La Maddalena (vera e propria varietà di transizione corso-sardo-ligure), oltre a una varietà dicocoliche chiamata lengua giacumina che fu parlata a Buenos Aires e che lasciò tracce significative nel lessico del gergo lunfardo.

Uso

Il sistema delle parlate liguri è caratterizzato da una profonda crisi dell'uso: molte delle sue varianti, in particolare quelle urbane, stanno cadendo in disuso, a causa dei mancati processi di trasmissione generazionale che riguardano in Italia anche diverse altre lingue prive di prerogative istituzionali. Varie sono dunque le cause che hanno portato ad un calo dell'uso, riferibili a processi comuni alle diverse regioni italiane, soprattutto settentrionali: l'abbandono dei dialetti liguri da parte dei parlanti obbedisce infatti a una logica che permea la storia linguistica italiana a partire dall'Unità d'Italia.

I dati ISTAT per il 2006 (pubblicati nel 2007) relativi agli usi linguistici tradizionali parlano per la Liguria di un 68,5% della popolazione che parla preferibilmente italiano in famiglia, contro un 8,3% che preferisce il "dialetto" (quindi non solo il tipo ligure, ma anche varietà risalenti alla terra d'origine di immigrati da altre regioni), mentre un 17,6% alterna i due codici e un 5,2% (verosimilmente immigrati stranieri per la gran parte) utilizza un altro codice ancora; con gli amici, i cittadini della regione si esprimono in italiano per il 70%, in "dialetto" per il 6%, alternano i due codici per il 19,6% e usano un'altra lingua per il 2,5%; con estranei si preferisce l'italiano per l'87,1%, il "dialetto" per il 2,5%, l'alternanza dei due codici per l'8,7% e un altro idioma per l'1,1%. Questi dati lasciano supporre che la percentuale di locutori attivi sia alta soprattutto tra la popolazione nata prima del boom economico del Novecento anni cinquanta, sessanta e settanta) e che scenda rapidamente fino a toccare lo zero tra le nuove generazioni; la distribuzione geografica vede inoltre una maggiore tenuta nelle aree rurali e rivierasche rispetto ai centri urbani principali.

Storia linguistica interna

Dal punto di vista storico, il ligure rappresenta l'evoluzione locale del latino volgare, caratterizzata come si è visto dall'emergere, insieme a fenomeni comuni con le parlate dell'Italia settentrionali, di caratteri nettamente peculiari o di raccordo con l'area italiana centro-meridionale.

Tra i caratteri settentrionali, non ugualmente condivisi da tutte le parlate liguri, si segnalano ad esempio:

l'evoluzione in [y] di Ū latino (PLŪS > ['ʧy]) e in [ø] di Ŏ latino (NŎVU(M) > ['nø:vu]);
l'evoluzione di -CT- secondo un modello che viene dubitativamente riferito a influsso celtico (FACTU(M) > genovese del sec. XIV fàito e dialetti arcaici ['fajtu] > genovese moderno 'fɛ:tu, da confrontare con il portoghese "feito");
la palatizzazione di CL- e GL- in [ʧ]), [ʤ] (es. CLAMARE > [ʧa'ma:] ‘chiamare’, GLANDE(M) > ['ʤaŋda] 'ghianda');
la lenizione delle consonanti sorde, che può raggiungere la completa sparizione (LŎCU > ['lø:gu] ‘luogo’, CEPULLA > [se'ula] > [si'ɔwla] ‘cipolla’, DIGITU(M) > ['di:u], ecc.);

Tra i caratteri di raccordo con l'area centro-meridionale:

la conservazione delle vocali atone e finali tranne dopo -[n] e -[l], -[r] (ad esempio in ['gatu] ‘gatto’, contro il settentrionale ['gat], [me'nestra] contro ['mnɛstra], ma ['kaŋ] per 'cane');
la palatizzazione spinta fino all'affricazione/spirantizzazione di PL-, BL- e FL- quale si ritrova anche nei dialetti italiani meridionali (PLANTA > ['ʧaŋta] ‘pianta’, BLASPHEMIA > [ʤa'stema] ‘bestemmia’, FLORE > ['ʃu:(a)]);
la maggior parte delle caratteristiche morfologiche e sintattiche.

Tra le altre caratteristiche specifiche o che connotano comunque in maniera unitaria le varietà liguri:

Il passaggio da -L- a [r] (che copre un'area peraltro assai vasta dalla Provenza all'Italia settentrionale) e l'indebolimento di [r] in [ɹ], che nei dialetti più evoluti, compreso il genovese, arriva fino alla caduta: CARU > ['kaɹu] > ['ka:u] ('caro'), [maɹa'veʤa] > [ma: 'veʤa] ('meraviglia'), ['ʧɛɹu] > ['ʧɛ:u] ('chiaro'), ecc. Questo fatto tra gli altri ha avuto conseguenze notevoli nella struttura delle parole: ad esempio FARINA è passato a [fa'ɹiŋna] e da qui a [fa'iŋa], con successiva ritrazione dell'accento in ['fajna] e chiusura del dittongo nel genovese moderno ['fɛŋa]; PATRE ha dato in genovese medievale l'esito ['pajɹe], conservato nei dialetti arcaici, in seguito al quale, dopo lo sviluppo di un'appendice semivocalica alla consonante labiale (['pwajɹe]) e alla chiusura del dittongo si è arrivati al genovese moderno ['pwɛ:] attraverso le fasi ['pwɛ:ɹe], ['pwɛ:ɹe]: sempre in genovese, tra le conseguenze di questi fenomeni di ristrutturazione fonetica, la quantità vocalica ha assunto valore fonologico, sia che si tratti di vocali toniche che atone: si distingue pertanto, ad esempio, tra [ka: 'seta] 'calza', con vocale atona lunga, e [ka'seta] 'mestolo' con vocale breve.

Il lessico ligure è per la stragrande maggioranza di derivazione latina, con rari affioramenti di sostrato (ad es. la voce ligure occidentale barma ‘grotta’) ed elementi di superstrato germanico per lo più comuni all’area italiana settentrionale. I caratteri della latinità rimandano di volta in volta all’Italia settentrionale o a quella centro-meridionale, per la presenza di forme estranee alla tipologia dialettale galloitalica (ad esempio il tipo ['nevu] ‘nipote’, le forme ['frɛ:] ‘fratello’ e ['sø:] ‘sorella’, ecc.). Durante i secoli, a causa dell'espansione marittima di Genova e dei traffici commerciali, i dialetti liguri si sono arricchiti di numerosi elementi lessicali di varia provenienza araba (es. [ka'malu] ‘facchino’), greca ([maŋ'dilu] ‘fazzoletto’), spagnola, inglesi, francesi ecc.

Per la grafia tradizionale e i problemi connessi si rimanda alla voce ortografia ligure.

Divisioni dialettali

I dialetti liguri rappresentano un gruppo sostanzialmente unitario nel quale le forze centrifughe date dal frazionamento territoriale sono state controbilanciate, tra l'altro, dall'influsso politico e culturale di Genova su gran parte del restante territorio: se questo fatto ha marginalizzato da un lato i dialetti più eccentrici, come quelli arcaici delle Alpi Marittime (dialetto brigasco) o delle Cinque Terre, in alcuni casi si è verificata la conservazione nelle parlate provinciali di caratteristiche un tempo comuni al genovese urbano: ad esempio, la [ɹ] palatale caduta nella variante illustre a partire dal sec. XVIII è ancora saldamente presente in molte varietà dellaRiviera di Ponente, e i suoni [ts] e [dz ] del genovese medievale si mantengono ancora in alcune aree montane. Al di là dell'influenza genovese, alcuni elementi di differenziazione interna sono comunque antichi: si distingue così l'esito di -CL- latino nell'area orientale gravitante sulla Spezia (che, a partire da Bonassola, ha ['speʧo]) dal tipo genovese (['spe:ʤu]), diffuso fino a Taggia (IM) verso ovest e da quello occidentale estremo che è ['speʎu]; al contrario, l'esito del nesso latino -LI- è [ʤ] in un'area che va dai confini orientali fino alla zona di Finale Ligure (SV) (che ne è esclusa) (FAMILIA > [fa'miʤa]), mentre più a ovest si ha [ʎ] ([fa'miʎa]); tra i fenomeni di tipo "galloitalico", inoltre, la velarizzazione di -N- e il passaggio di Ē latina ad [ej] sono estesi solo nella zona più direttamente influenzata da Genova, con LANA > ['laŋa] ('lana'), che va da Noli a Framura e BIBERE > ['bejve] ('bere'), che va da Noli a Levanto. Sulla base di queste e di altre differenziazioni è ormai invalso l'uso di classificare i dialetti liguri secondo lo schema seguente:

ligure orientale, dai confini orientali della Liguria fino a Bonassola sulla costa (con l'area particolarmente conservativa delle Cinque Terre, ove la parlata è peculiare in quanto presenta influenze sia spezzine che genovesi), e fino a Carrodano e Sesta Godano SP); la Val di Vara mostra concordanze con illunigianese, sempre maggiori procedendo verso sud-est, parimenti la percorrenza lungo l'asse nord-ovest trova progressivamente sempre più influenze genovesi: è proprio Sesta Godano a segnare uno spartiacque linguistico tra le due varietà fonetico-lessicali.
ligure genovese, da Framura a Capo Noli, col corrispondente entroterra al di sotto dello spartiacque appenninico e appendici in valle Scrivia (si tratta della varietà più diffusa e parlata, riconosciuta come genovese "illustre");
ligure centro-occidentale, da Finale Ligure a Taggia;
ligure occidentale (compreso l'intemelio), da Taggia a Monaco (monegasco);
ligure alpino (o roiasco), nelle zone montane a nord della fascia occidentale, con caratteri conservativi; il dialetto brigasco di Realdo, Verdeggia e Olivetta San Michele, in provincia di Imperia, oltre a quello di Briga Alta (CN), appartengono a questa sottovarietà e la loro attribuzione al tipo occitano è legata strumentalmente all'accesso ai fondi della legge 482 in materia di minoranze linguistiche storiche;
ligure dell'Oltregiogo al di sopra dello spartiacque, con caratteri di transizione verso il piemontese (Oltregiogo occidentale, corrispondente alla val Bormida e alla zona tra Sassello e Ovada), il lombardo (Oltregiogo centrale, con centro a Novi Ligure) e l'emiliano (Oltregiogo centrale con la val Staffora e Oltregiogo orientale, dalla val Trebbia alla val di Taro);

Non costituisce un gruppo a sé il ligure coloniale, definizione convenzionale sotto la quale si raggruppano come si è visto il tabarchino, sostanzialmente aderente al genovese rustico, e il bonifacino, che rappresenta un'autonoma evoluzione dei dialetti liguri orientali degli originari coloni, con influssi del genovese urbano.

All'interno di questi raggruppamenti vigono differenziazioni anche sostanziali, ma in linea di massima le parlate liguri rimangono nettamente riconoscibili nel loro insieme e risultano caratterizzati da una forte unitarietà lessicale, che ne favorisce l'intercomprensione; il gruppo genovese è comunque il più compatto, anche se le differenze areali (ad esempio tra l'area del Tigullio e la varietà urbana o il dialetto savonese) e di ordine sociolinguistico (varianti rustiche, popolari, della borghesia urbana, ecc.) hanno una loro importanza.

Storia linguistica esterna

Accanto all'originale evoluzione linguistica, che denuncia l'alternarsi nel periodo di formazione di fasi di apertura verso il settentrione a momenti di maggiore orientamento verso sud (coincidenti probabilmente con la fase della resistenza bizantina all'espansione longobarda tra il VI e il VII secolo), un aspetto costitutivo della personalità attuale della lingua ligure è dato dalle conseguenze della precoce espansione politico-commerciale di Genova nell'Oltremare: più ancora cheVenezia, interessata al controllo di un settore significativo del proprio retroterra, Genova, unificato lo stato regionale lungo l'arco rivierasco e oltre, si dimostrò poco attratta dai modelli culturali e linguistici del settentrione, al punto che l'alterità etnica rispetto ai "Lombardi" è un luogo comune costantemente rappresentato nella letteratura medievale.

Come si è visto, le dinamiche dell'espansione mediterranea introdussero precocemente, nel genovese e nelle parlate liguri, una serie di elementi lessicali di varia provenienza che contribuirono in maniera decisiva allo sviluppo di una personalità linguistica autonoma rispetto al retroterra: al contempo, il diretto raccordo con laToscana eludeva la partecipazione dell'area ligure ai modelli di koinè italiana settentrionale, isolando Genova e le Riviere anche dai più recenti processi evolutivi in ambito galloitalico: "lingua del mare" quanto poche altre, il genovese ha lasciato inoltre una quantità notevole di prestiti non soltanto nelle lingue con le quali ha avuto più lunghi e durevoli contatti, come il corso, ma anche in diversi idiomi orientali, in spagnolo, in francese e naturalmente nell'italiano, che dal genovese ha mutuato una parte importante del proprio lessico marinaresco (parole come scoglio, cavo, gassa, bolentino, tra le altre, sono di derivazione ligure).

Va considerato, inoltre, che il genovese godette in epoca medievale e moderna di un notevole prestigio come lingua commerciale, diffusa poi a lungo nei grandi porti del Mediterraneo orientale e occidentale e lungo le coste americane dell'Atlantico: non solo le colonie commerciali genovesi, da Pera presso Costantinopoli aCaffa in Crimea assistettero a questa espansione linguistica (puntualmente rintracciabile nei documenti), ma ancora in pieno Ottocento il genovese ebbe un ruolo preminente nei contatti commerciali tra operatori locali ed europei ad esempio a Tunisi, e fu lingua tecnica della navigazione fluviale lungo il Rio de la Plata inArgentina. Questa diffusione ebbe come riflesso interno una crescita del genovese come lingua scritta a partire dalla fine del XIII secolo.

Atti ufficiali redatti in volgare genovese appaiono con sempre maggiore frequenza fra il Trecento e il Quattrocento, e solo a partire dalla metà del Cinquecento si può parlare di una generalizzata sostituzione dell'italiano negli usi scritti (ove peraltro a prevalere fu sempre il latino). In questo modo il genovese finì per rappresentare un elemento caratterizzante nella rappresentazione retorica della "diversità" genovese, denunciata da Dante nella Divina Commedia ma assunta dalla classe dirigente locale come punto di forza della propria prassi politica: le peculiarità istituzionali della Repubblica, soprattutto a partire dal 1528, furono associate strettamente all'utilizzo di una lingua che gli umanisti italiani, come il Varchi, definirono "barbara" e "da tutte l'altre diversa", ma che proprio per questo gli intellettuali locali, come Paolo Foglietta non cessarono di promuovere come espressione originale di un senso di autonoma appartenenza.

Il rapporto lingua-identità divenne particolarmente vistoso tra il XVII e il XIX secolo, prima in polemica con l'italiano fiorentino e lo spagnolo, lingue "forestiere" rifiutate da una parte dell'aristocrazia locale, poi come elemento di coesione interclassista ai tempi della guerra di liberazione dall'occupazione austro-piemontese del 1745-1748.

Se a differenza dei vicini stati sabaudi l'italiano, per quanto piuttosto diffuso (e non soltanto nei ceti intellettuali), non ebbe mai prerogative di ufficialità durante l'Ancien régime, con l'occupazione piemontese (1815) il suo uso pubblico incise profondamente il prestigio del genovese, sempre più relegato al rango di linguaggio tecnico della navigazione e del commercio, oltre che, ovviamente, come linguaggio parlato: la reazione autonomista sviluppatasi soprattutto prima della proclamazione del Regno d'Italia (1861) si servì comunque del genovese in funzione anti-monarchica, e tracce significative di questo atteggiamento, che confermava il nesso imprescindibile tra identità linguistica e senso di appartenenza, si ritroveranno nella prassi di scrittori attivi fino ai primi decenni del Novecento. A partire da allora, il regresso del genovese e delle parlate liguri segue modalità analoghe a quelle che contraddistinguono il progressivo calo di prestigio delle diverse parlate regionali in Italia.

La legislazione regionale in materia linguistica è tra le più arretrate in Italia e le attività di promozione e valorizzazione del patrimonio linguistico restano allo stato attuale affidate essenzialmente a iniziative di volontariato non sempre sostenute da un’opportuna preparazione scientifico-culturale.

Letteratura

Quella in genovese presenta caratteri insoliti nel quadro delle letterature regionali italiane: è dotata anzitutto di una propria continuità storica e contenutistica, verificabile a partire dai testi delle origini, e si distingue per il deciso prevalere di temi che esulano da quelli che si considerano tipici dell'espressione “dialettale”.

Il primo testo, risalente al 1190, è il contrasto bilingue di un trovatore provenzale, Raimbaut de Vaqueiras, nel quale una dama genovese risponde per le rime a un corteggiatore occitano. Questo esperimento letterario isolato, tra i primi a prevedere l'uso di un volgare di area italiana, spicca tra i documenti di carattere notarile anticipando solo dal punto di vista linguistico i successivi frammenti epico-lirici e la complessa opera poetica dell'Anonimo Genovese (contenuta nel Codice Molfino), che tra la fine del Duecento e i primi del Trecento sviluppa nelle sue Rime temi di carattere religioso e morale, ma soprattutto l'esaltazione patriottica delle vittorie navali sui veneziani: è l'iniziatore di un robusto filone di poesia civile che continuerà nei secoli successivi accanto alla produzione lirica, orientata in un primo tempo su contenuti religiosi (le Laudi di tradizione tosco-umbra, primo embrione del teatro in volgare).

Il Trecento tuttavia vede soprattutto una notevole fioritura di testi in prosa (prevalentemente anonimi, ma anche di autori come Gerolamo da Bavari o Antonio de Regibus), opere originali o tradotte dal latino, dal francese, dal toscano e dal catalano con le quali Genova si propone quale centro di ricezione e di trasmissione per un tipo di letteratura moraleggiante, a carattere narrativo, cronachistico e dottrinale, che tocca i suoi vertici nella Passion de lo Segnor Gexù Christe e in alcune raccolte di vite di santi e leggende mariane (Miràcori de la biâ Verzem). Questo filone continua nel Quattrocento arricchendosi di contenuti escatologici nella Istòria de lo complimento de lo mondo e avegnimento de Antechriste, ma intanto l'uso del genovese come lingua cancelleresca implica la trascrizione di orazioni politiche e altre prose civili. La poesia in volgare stigmatizza in quell'epoca le discordie intestine, ma celebra anche, con Andreolo Giustiniani, le più recenti vittorie d'oltremare.

Nel corso del Cinquecento la lirica religiosa cede progressivamente il passo a quella di carattere amoroso, condotta tra gli altri da Paolo Foglietta e Barnaba Cigala Casero sui registri sostenuti del petrarchismo. Con Foglietta in particolare riprende vigore la poesia civilmente impegnata che riflette il complesso dibattito istituzionale interno della Repubblica: nasce in quell'epoca anche un teatro plurilingue, destinato a grande fortuna nel secolo successivo grazie all'opera di Anton Giulio Brignole Sale, in cui i personaggi che si esprimono in genovese rappresentano dietro metafora le problematiche politiche che si agitano in quel periodo. Gian Giacomo Cavalli è l'autore più rappresentativo del concettismo barocco della prima metà del Seicento e il poeta che più di ogni altro sviluppa, con la sua lirica amorosa e i poemetti encomiastici e patriottici raccolti nella Çìttara zeneize (1636) una lingua letteraria nettamente distinta dalla parlata popolare fatta propria tra gli altri, nello stesso periodo, da Giuliano Rossi.

Dopo la crisi di metà Seicento l'espressione in genovese riprende vigore su temi politico-patriottici, prima con le opere di Carlo Andrea Castagnola e Gio. Agostino Pollinari che celebrano la resistenza genovese al bombardamento francese del 1684, poi con la fioritura intorno al 1745-1748 di un'ampia produzione epicadedicata alla guerra di liberazione dall'occupazione austro-piemontese (la cosiddetta guerra di Balilla) e alle ultime vittorie sui corsari barbareschi: a opere anonime come la Libeaçion de Zena e il Trionfo dro pòpolo zeneize si associa in particolare la multiforme attività poetica e teatrale di Stefano de Franchi, autore aristocratico che apre tuttavia al gusto popolaresco nelle sue traduzioni da Molière (Comedie transportæ da ro françeize in lengua zeneize) e nelle poesie originali di contenuto lirico e patriottico. Questa vena sarà continuata con accenti diversi durante la breve stagione della poesia rivoluzionaria legata all'instaurazione (1797) del regime filofrancese.

L'Ottocento si apre all'insegna dello scoramento per l'annessione forzata alla monarchia sabauda, che genera da un lato il disimpegno, risolto in chiave introspettiva e moraleggiante, di Martin Piaggio (Esòpo zeneise), dall'altro la reazione patriottica e liberal-repubblicana di autori come Giovanni Casaccia, Giovanni Battista Vigoe soprattutto Luigi Michele Pedevilla, che col poema epico A Colombìade si inserisce a pieno titolo nel clima delle rinascenze culturali delle lingue minoritarie europee. Riprende vigore nell'Ottocento anche la produzione in prosa: sia la narrativa, per lo più legata alle appendici di giornali in genovese come O Balilla e "O Staffî, dove compaiono le opere di Edoardo M. Chiozza e il romanzo anonimo di ambientazione americana Ginn-a de Sanpedænn-a; sia il teatro, che vede in Nicolò Bacigalupo il primo autore in genovese di gusto schiettamente dialettale.

Ai primi del Novecento, mentre cresce la scrittura in alcune varietà dialettali periferiche (spezzino, ventimigliese, alassino), Angelico Federico Gazzo con la traduzione integrale della Divina Commedia si inserisce, rinnovandolo, al seguito del filone regionalista ottocentesco; dopo gli aggiornamenti tentati da Carlo Malinverni, il clima poetico del Novecento è dominato però dalla figura di Edoardo Firpo, autore attento al recupero della tradizione classica ma aperto aldecadentismo e al rinnovato gusto della poesia dialettale italiana contemporanea. Nello stesso periodo si distingue anche il poeta savonese Giuseppe Cava.

Nel secondo dopoguerra la poesia in genovese e nelle varietà liguri cresce per qualità e quantità con autori come l'imperiese Cesare Vivaldi, i ventimigliesi Renzo Villa e Andrea Capano, il lericino Paolo Bertolani, e soprattutto i genovesi, da Alfredo Gismondi e Aldo Acquarone, a Plinio Guidoni (anche drammaturgo), Roberto Giannoni, Luigi Anselmi, Vito Elio Petrucci, Silvio Opisso, Giuliano Balestreri, Sergio Sileri, Sandro Patrone, Angelo de Ferrari, Daniele Caviglia, Alessandro Guasoni,Enrica Arvigo, Anselmo Roveda e numerosi altri, non sempre meritevoli di menzione per l'eccellenza artistica, ma comunque rappresentativi dell'interesse che circonda nella fase attuale l'uso letterario del genovese. Una certa sclerosi riguarda negli ultimi tempi il teatro, legato ai modelli farseschi imposti dall'attore Gilberto Govi, mentre la canzone d'autore ha toccato punte di eccellenza con Fabrizio De André; recenti sono i tentativi di rinascita della prosa giornalistica e la ricerca di altri ambiti espressivi, come la prosa scientifica e divulgativa.

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