Due domande i giuristi dovrebbero porsi a proposito delle loro professioni. La prima è perché essi sono spesso temuti e quasi mai amati. La seconda è perché una cattiva azione di un giudice o di un avvocato deturpa l’immagine della giustizia, molto più di quanto cento buone azioni l’abbelliscono.
Le risposte possono servire a un esame di coscienza da parte di uno che al diritto ha dedicato cinquant’anni della sua vita professionale.
Professore emerito di diritto costituzionale all’Università di Torino, Gustavo Zagrebelsky collabora con il quotidiano «la Repubblica». A lui si deve una pluriennale opera di riflessione e di riproposizione di alcuni autori classici del pensiero giuridico novecentesco, tra i quali Piero Calamandrei, Costantino Mortati e Rudolf Smend. Ha pubblicato presso Einaudi Il diritto mite (1992), Il «crucifige!» e la democrazia (1995 e 2007), La domanda di giustizia, insieme con Carlo Maria Martini, (2003), Principî e voti (2005), Imparare democrazia (ultima edizione Super ET 2016), Intorno alla legge (2009), Sulla lingua del tempo presente (2010), Giuda (2011), Simboli al potere (2012), Fondata sul lavoro (2013), Fondata sulla cultura (2014), Liberi servi (2015), Senza adulti (2016), Diritti per forza (2017) e Diritto allo specchio (2018)
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