Città: Genova, Italia
Scozia, XVI secolo: Lucia, costretta, su pressione del fratello, a rinunciare a Edgardo, il suo vero amore, precipita nella follia, assassinando il marito il giorno delle nozze e morendo di dolore. Nessuna delle tante “scene della pazzia” che si incontrano nel teatro d’opera è realistica e toccante come quella del terzo atto della Lucia di Lammermoor, ispirata a un romanzo di Sir Walter Scott. Donizetti va oltre la convenzione, dando voce a quel disagio psichico che la psicoanalisi, poco più di mezzo secolo dopo (l’opera è del 1835), cercherà di comprendere e guarire. Una pazzia moderna: non quella epica di Orlando, iraconda, fatta di sguardi infuocati, urla animalesche e capelli strappati con le mani, “maschile” e a suo modo eroica; una follia al femminile, che si manifesta in insistiti gorgheggi, esili e filiformi. Come ha scritto Alberto Savinio, la pazzia di Lucia «è il soffio più sottile, più leggero, più aereo che si possa dare, e il più gelido, pure.» La regia di Lorenzo Mariani parte dal celebre quadro di Everett Millais, raffigurante Lucia che si sostiene al braccio di Edgardo: «Capisco dallo sguardo di lei – spiega il regista – un’anima che respira, dall’intimo, una trasparente bontà, ma troppo delicata e indifesa, pericolosamente pura, fino all’estremo.»
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