Il Male può essere una maschera seducente, che ciascuno a turno indossa. Gli attori del Master di Recitazione si confrontano con la tragedia del desiderio di potere divorante.
Si sa: il linguaggio del teatro è pervasivo. Nella vita, si sente dire “il teatrino della politica”, oppure “non fare l’attore”, o ancora “ma che pagliaccio”! Parlando comunemente, usiamo espressioni, spesso in accezione negativa, che arrivano direttamente dal linguaggio teatrale. E altrettanto capita con certi personaggi che – scrive il regista Massimo Mesciulam – «galleggiano nel nostro immaginario, un po’ sfocati nella loro individualità di persona, ma la cui complessità e grandezza, la grandezza della storia in cui sono immersi, li ha “canonizzati”. Nel senso che di un centravanti che ha esitato troppo in una partita si può dire “amletico”, oppure “è la Lady Macbeth della famiglia” o ancora “dov’è il tuo Romeo?”. In altre parole sono diventati “proverbiali”, non individui ma antonomasie. Credo che ogni nuova messa in scena di Riccardo III abbia l’interessante problema di far vivere tale antonomasia, di personificarla».
Riccardo di Gloucester, il futuro e feroce Re Riccardo III, è il protagonista di questa indagine: «Riccardo – continua Mesciulam – è un individuo ma anche un’astrazione, è la “maschera” del Male, la “maschera” del Desiderio Divorante che attua la sua stessa distruzione».
Avvicinandosi al capolavoro di Shakespeare, Mesciulam e la giovane compagnia di attori, ragionano sul concetto di “maschera”, quella maschera che tutti possiamo indossare: «C’è da temere non solo Riccardo III, ma soprattutto il Riccardo III che è in noi, disseminato com’è nelle sue vittime e nei suoi accoliti, perché la sua anima ha ambasciate nelle anime degli altri personaggi, che è l’odio per la coscienza, ritenuta un’invenzione nefasta (su un registro tragicomico, illuminante la scena dei due sicari). Siamo sedotti dal male perché una sua vitale epifania con grande arte riesce ad attaccarsi a qualcosa che è già in noi. E non ci lascia tranquilli»
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