Nel 1993 cinque monaci tibetani, con la benedizione del Dalai Lama, furono artefici di una straordinaria performance a Palazzo Ducale, dando vita al “Mandala * di Kalachakra" alla cui realizzazione assistettero, nell'arco di un mese, 25 mila persone. Il primo evento di massa a palazzo Ducale
Prima di lasciare la città i monaci ne realizzarono un secondo, Il mandala della compassione, all'interno di palazzo Agostino Doria, in piazza delle Vigne. Anche questo era destinato alla dispersione ma venne salvato, su richiesta di Cavanna, grazie a una deroga speciale concessa ai monaci direttamente dal Dalai Lama.
Genova ha dunque, senza saperlo, un importante tesoro che va conservato e valorizzato. La spiritualità e la storia si incontrano in un luogo magico che potrebbe popolarsi di visitatori, proprio come in quel lontano 1993.
Attualmente l'immobile dove è custodito il Mandala della Compassione è stato aggiudicato (in una terza vendita all'asta) e c'è pochissimo tempo per salvarlo, bisogna chiedere alla Soprintendenza di vincolare questa opera d’arte che, essendo fatta di sabbia, non può essere spostata.
La petizione rivolta al ministero per i Beni e le Attività culturali per salvare il “mandala della compassione” è stata promossa dall'Associazione per la divulgazione delle opere di ingegno presieduta da Giuseppe “Pino” Cavanna, colui che nel 1993 organizzò la visita a Genova dei cinque monaci tibetani autori di due mandala.
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L' Associazione per la Divulgazione delle Opere di Ingegno potrà così continuare a conservare e difendere il "Mandala della Compassione" come ha fatto da oltre 25 anni in uno spazio che chiunque potrà visitare.
*Mandala è un'antica parola sanscrita che significa cerchio. Il mandala è un simbolo spirituale e rituale che rappresenta l’universo. In Oriente, soprattutto nell’Induismo e nel Buddismo, aiutano a focalizzare l’attenzione e definiscono uno spazio sacro che possa aiutare la meditazione. Nel buddismo tibetano i mandala vengono creati con la sabbia colorata e i monaci tibetana li realizzano seguendo una pratica speciale chiamata dul-tson-kyil-khor, che letteralmente significa “mandala di polvere colorata”.
L’opera tradizionalmente viene distrutta una volta realizzata in rappresentazione dell’ “impermanenza” delle cose.
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