Case di tolleranza
Prima che le ricche famiglie genovesi costruissero “Strada Nuova”, attuale Via Garibaldi, la zona era appaltata dal Comune alle prostitute che pagavano 5 “genovini” al giorno per poter esercitare la loro professione, la via era protetta da cancelli controllati da guardiani.
La professione aveva regole ben precise: le ragazze avevano il fine settimana libero e se un “cliente” faceva male ad una signorina era obbligato a pagare una diaria per il suo mancato lavoro. Quando, come già accennato, le nobili famiglie genovesi scelsero la zona dell’attuale via Garibaldi per costruire le loro lussuose dimore, il mercato del sesso si spostò appena più a valle, nella zona della Maddalena. Le entrate che tale attività garantiva alle casse pubbliche non erano certo trascurabili, come ci racconta Fabrizio De Andrè nella sua canzone  duménega:
"E u direttú du portu c'u ghe vedde l'ou
'Nte quelle scciappe a reposu da u lou
Pe nu fâ vedde ch'u l'è cuntentu
Ch'u meu neuvu u gh'à u finansiamentu..."
Per questo motivo l'appalto da parte del Comune proseguì con le stesse regole fino all’Unità d’Italia, quando entrò in vigore la legge sulle “case chiuse” voluta da Cavour (così chiamata perché le prestazioni venivano consumate all'interno di palazzi con finestre oscurate e persiane chiuse. La tipologia di Casa di Tolleranza era molto varia: si andava da case con arredamenti lussuosi accompagnati da Champagne fino a modesti magazzini il cui unico riparo era una tenda. Tra queste ne esisteva una in vico delle Carabraghe con le pareti viola che pare abbia ispirato il cantautore Gino Paoli, per una sua celebre canzone.
Storie di altri tempi, finita nel 1958 con l’introduzione della Legge “Merlin”.