La Genova che non c’è più

Il nome di “Via Madre di Dio” è altamente evocativo tra i Genovesi, anziani, di mezza età, e forse anche alcuni giovani…Non sarà mai troppo il raccontare una vicenda che costituisce forse una delle macchie, se non la macchia più grande, per la storia recente della nostra città. In moltissimi ne hanno parlato, ne hanno scritto, ne hanno raccontato, e limitarmi a fare lo stesso in termini troppo semplicistici sarebbe in parte ridondante e poco accattivante per chi leggerà queste righe. 

 

Cercherò dunque di presentare un breve viaggio nel tempo, forse come in molti casi riportati in questa “rubrica storica”; con dettagli e particolari che spero risultino novità per la maggior parte di chi leggerà. 

Cominciamo subito con il dire che il termine “Madre di Dio” non indica e non ha mai indicato, amministrativamente, un particolare quartiere. Certo, lo ha fatto per metonimia, prendendo questa zona il nome dalla strada più ampia che la attraversava; per l’appunto via Madre di Dio. L’area faceva parte dell’antico Sestiere di Portoria (leggete l’articolo sui sestieri di Genova per le curiosità a riguardo) ed era suddivisa principalmente in quattro zone distinte: partendo idealmente da piazza Dante la prima era “Borgo Lanaioli” o dei Servi, seguiva poi “Madre di Dio” all’incirca a partire dal ponte di Carignano, terza era la zona del Colle, “la Cheullia”, ed infine la “Marina”. Nella carta TCI del 1916 qui riportata sono indicate queste quattro zone. 

La zona nacque comunque in una sede geografica ben precisa. A partire dal XV secolo si andò a costituire un vero e proprio borgo “fuori le mura” (quelle del Barbarossa) nella valle attraversata dal Rio Torbido (torrentello che scende dalla zona di Manin), tra i colli di Sarzano e di Carignano fino all’antichissima insenatura, oggi non più esistente, del “Seno di Giano”. Nel XVI secolo il Rio Torbido venne tombinato per creare la principale arteria viaria della zona che, per sua stessa natura, divenne luogo prescelto d’abitazione popolare per tessitori, conciatori, tintori, lanaioli, portuali, artigiani…un ricettacolo di vita. L’edilizia popolare era tipica e simile alla grande maggioranza dei nostri vicoli: alte case fino a otto piani di altezza su strette viuzze con, al piano terra, le botteghe artigiane. Riporto infine, per dovere di cronaca, che la zona venne rovinosamente bombardata sia nel 1684, nel 1848, che durante le incursioni della seconda guerra mondiale; facendo sì che all’inizio degli anni ‘70 circa di tutta l’area fosse ridotta ad un cumulo di macerie. 



La zona edificata attorno al Rio Torbido all'inizio del XV secolo. Si nota nella parte alta della via la chiesa di S.Maria dei Servi e, al fondo, la "Marina di Sarzano". 

 

Partiamo dunque ora con il nostro viaggio; idealmente fatto alla fine degli anni ‘60

Appena passati dietro le enormi moli dei grattacieli di piazza Dante; corrispondenti alla prima “erosione” di parte dell’antico Borgo Lanaioli effettuata nel 1935, saremmo sbucati in Via dei Servi, all’inizio del tracciato posto sopra al tombinato Rio Torbido.

Questo tratto di strada prendeva il nome da una delle principali costruzioni religiose della zona; la Chiesa di Santa Maria dei Servi, così chiamata perchè furono i padri “Serviti” a ricostruirla in stile gotico nel 1327. La chiesa perse parte del suo originario convento annesso già con le erosioni per la costruzione di Piazza Dante e, nel 1942 la chiesa fu pesantemente danneggiata da un'incursione aerea lasciando in piedi solo i muri perimetrali ed il campanile. Sarà curiosamente un forte temporale che, nel 1944, farà crollare ciò che restava della chiesa di cui solo l’altar maggiore fu recuperato per essere posto, nel 1972, all’interno della nuova Chiesa di S.Maria dei Servi alla Foce

 

La zona di Borgo Lanaioli subito dietro Piazza Dante con, in primo piano, ciò che resta della chiesa di Santa Maria dei Servi nel 1935. Si nota, all'altezza del campanile, il taglio effettuato per la demolizione dell'antico convento che era annesso alla chiesa. 

Molto vicino alla chiesa si trovavano poi i “Lavatoi del Barabino” o “dei Servi”, costruiti nel 1797 dalla Repubblica Ligure e primitivo esempio di “opera pubblica” a Genova edificata in una zona così densamente popolata e popolare da necessitarne. Proprio sopra i lavatoi partiva una creuza dal nome curioso “Salita alla Montagnola dei Servi” che, risalendo le pendici del colle di Carignano, giungeva sino alla piazza dell’omonima Chiesa. Ancora oggi, riuscendo a trovarla, questa antichissima salita può essere percorsa per metà del suo antico tracciato. 

 

Andando avanti per via dei Servi si pone, alla nostra destra guardando verso il mare, l’intricato dedalo di vicoli, piazzette e creuze della zona della “Cheullia” con i nomi più evocativi di tutto questo antico rione. Il famoso vicolo del “Pomogranato”, da una pianta di melograno in dialetto “meigranou”. La “Scalinata Santa”, che da via Madre di Dio saliva verso Campo Pisano e proprio per questo motivo denominata “Santa”. “Vico degli Zaccaria”, dalla illustre e nobile famiglia proveniente dalla riviera (1140) che diede guerrieri alla Repubblica ed infine le letteralmente leggendarie Vico e Piazzetta “dei Librai”. 

                                                                          

 

Nella prima immagine, la casetta unifamiliare al n.26 di vico Pomogranato guardando verso piazza Dante. A sinistra delle figure si nota il terrapieno a sostegno delle case di Piazzetta dei Librai. Nella seconda immagine invece la cartina dettagliata della zona con l'intricato dedalo di vicoli della zona "del Colle". 

Proseguendo, e arrivati nei pressi dell’arcata del ponte di Carignano (costruito nel 1718 dalla famiglia Sauli) la strada cambia nome e diventa via “Madre di Dio” per la vicinanza, anche qui, dell’omonima chiesa addossata al ponte. L’edificio dell’ormai sconsacrata chiesa è l’unico superstite che ancora oggi si staglia nella valletta sotto il ponte di Carignano, diventata sede della biblioteca Franzoniana. Nell’anno 1682 i Padri della Madre di Dio aprono solennemente la chiesa costruita a partire dal 1679, all’insolita presenza dei Serenissimi Collegi e del Doge Luca Maria Invrea. Nel 1797 il convento annesso viene soppresso, la chiesa chiusa e spogliata di tutte le opere d’arte nonché trasformata in officina. Solo nel 1856, riscattata la chiesa dai padri Franzoniani, essa viene riaperta al culto: dei sette altari che ornavano anticamente la chiesa solo tre vengono rialzati, mentre sull’altare maggiore viene posta una statua in marmo rappresentante la Madre di Dio. Nel 1944 la chiesa viene pesantemente danneggiata per diventare anche rifugio dei senzatetto. Nel 1946 viene persino concessa in uso alla Parrocchia di S.Salvatore che, distrutta la propria chiesa, vi si trasferisce. Infine, dopo una travagliata storia, sino al 1957 la chiesa è ancora in attività e, trasformata in Oratorio, resterà tale sino al 1971 per essere poi chiusa e sconsacrata sino ai restauri del 1993

 

                                                                                  

 

La prima immagine raffigura l'insolita facciata della Chiesa della Madre di Dio negli anni '50 con, di seguito, la sua sezione longitudinale. Si può notare come i locali del convento fossero posti al di sopra della chiesa stessa, al primo piano rialzato.

 

Passati oltre la visuale comincia ad aprirsi sull’area della “Marina”; area edificata presso l’antica Marina di Sarzano e addossata alle Mura di Santa Margherita, alle pendici del colle di Carignano. I vicoli del rione della Marina avevano nomi come “Vico Villetta”, “Vico Corte”, piazza, salita e scalinata di Santa Margherita, e la “Salita dei Sassi”, unico percorso viario rimasto ancora oggi. Le mura di Santa Margherita corrispondevano ad un tratto delle mura cinquecentesche della città che, partendo dal Molo, si congiungeva poi alle Mura delle Cappuccine sull’altro versante del colle di Carignano. La costruzione della Circonvallazione a Mare, oltreché aver interrato il mitico “Seno di Giano” snaturò anche l’area con gli antichi edifici che davano dirimpetto al mare che arrivava sin sotto le mura. Il nome di Santa Margherita proveniva da un antico monastero di Cistercensi, detto della Rocca, costruito sul versante a mare del colle di Carignano e rimasto in attività sino al 1822 per poi essere demolito, con l’annessa chiesa, nel 1850.

                                                                                       

 

Nella prima immagine, gli alti caseggiati del rione della "Marina" addossati alle mura di Santa Margherita. Questa zona comprendeva gli edifici più recenti di tutta l'area in quanto fu edificata, a partire dal 1850, sulle primitive case ormai ridotte in macerie dai bombardamenti del 1684 e del 1848. Di seguito invece la visuale di fine '700 della Marina con il Seno di Giano e lo Scoglio Campana e, sopra le mura, la Chiesa di Santa Margherita, o "della Rocca". 

 

E siamo giunti alla fine di questo breve viaggio. Abbiamo dunque percorso circa 470 anni di storia attraverso una zona di Genova nella quale, secondo le parole di Don Gallo, poteva respirarsi la vera “genovesità popolare”. Una storia che si interrompe brutalmente a partire dal 1971 con lo scempio del piano regolatore, l’abbattimento di tutti i rioni menzionati e la “deportazione” forzata di più di 5000 persone che persero per sempre le loro radici. Uno scempio delle cui ragioni non tratterò e che arrivò sino all’atto scellerato di demolire la casa natale di Nicolò Paganini, sita in Passo Gattamora al n°38. 

 

                                                                   

 

Nessuna parola per commentare queste due immagini prese dalla Torre Piacentini.  Nella prima immagina la zona nel 1970 e, nella seguente, siamo invece nel 1972

 

Una ferita per la città che mai potrà essere sanata e che oggi, passando magari attraverso quelli che vengono chiamati “Giardini di Plastica”, ci porta con un doloroso e sforzato ricordo ad immaginare cosa dovesse essere questa parte così autentica e popolare della Superba; la Genova che non c’è più.

 

Riccardo Tadei

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