Un classico del melodramma, talmente familiare, ormai, che si corre il rischio di non coglierne più l’audacia. Rigoletto è, certo, l’opera di “La donna è mobile”, “Questa o quella, per me pari sono”, “Bella figlia dell’amore”, pagine popolarissime, ma è anche uno dei titoli più scabrosi nella storia del melodramma, che la censura cercò in ogni modo di ammorbidire e rendere più presentabile. Verdi fu irremovibile e Rigoletto fu quello che ancora è oggi fin dalle prime recite, che entusiasmarono il pubblico e scandalizzarono la critica: un’opera con protagonisti un vecchio deforme, un killer, una fanciulla innocente rapita, violata e infine uccisa e chiusa in un sacco da cronaca nera. Situazioni estreme e dinamiche psicologiche ancora attuali che la musica estrinseca con pienezza e verità: il rancore del diverso emarginato e deriso, la scissione non risolvibile tra padre amorevole e buffone cinico, gli impulsi incontenibili di un giovane dongiovanni nostrano, il ritrovarsi vittima quando si voleva essere carnefice. E un vecchio che piange, come mai aveva pianto e mai più piangerà in musica. La regia di Rolando Panerai è il frutto dell’esperienza di uno dei più grandi baritoni del nostro tempo, interprete memorabile di Rigoletto.
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