Un padre e una figlia, i cui ruoli stanno per capovolgersi. Come comportarsi di fronte all'avanzare dell’Alzheimer?
Una commedia felice, che sa affrontare con delicatezza, quasi con candore, e certo con sensibile empatia, un tema non facile. È tragicamente d’attualità il testo che il francese Florian Zeller ha lanciato sui palcoscenici di mezza Europa, poi a Broadway e infine in versione cinematografica.
Il padre narra infatti il progressivo, devastante avanzamento di un male che è fra le piaghe più dolorose del nostro tempo: il morbo di Alzheimer. Non ci sono cure, e non ci sono stati – sinora – modi per raccontare quella sistematica perdita della memoria, della coscienza di sé, della propria autonomia.
Con la regia garbata e attenta di Piero Maccarinelli, il testo di Zeller arriva ora sulle scene italiane, con l’interpretazione appassionata di Alessandro Haber nel ruolo del protagonista, Andrea, un uomo vivace, attivo, ma già segnato dal diffondersi del male. È una famiglia benestante, la sua: ma i volti sfumano, passato e presente si mescolano. Anna, la figlia – magistralmente interpretata da Lucrezia Lante Della Rovere – cerca di reagire, di accudire il padre malato assicurandogli badanti, poi ospitandolo in casa, o con altre soluzioni. Ma nulla funziona: è il disagio, è la consapevolezza, la coscienza della fine del viaggio chiamato vita. Andrea vive tra stupore e innocenza il suo nuovo stato, si sorprende di solitudini inattese e di aggressività compulsiva. Con ironia si osserva tornare bambino, in cerca di protezione. Non c’è patetismo, né compassione qui: Zeller ha strumenti delicati per svelare, con leggerezza, l’animo umano. E il pubblico, con un sorriso e forse con una lacrima, segue la storia di un padre che diventa figlio di sua figlia: nulla di più o di meno di quanto accade nella vita. Ben recensito dalla critica e amato dal pubblico, Il padre ha vinto il prestigioso Prix Molière nel 2014.
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