È lo stesso Mario Perrotta, pluripremiato narratore, autore, regista e ideatore di progetti scenici e spaziali originalissimi, a raccontare il perché del suo nuovo spettacolo: «Se nel 2007 con Odissea avevo chiuso i conti con l’essere figlio, da quattro anni sono padre, una parola che riempie il mio quotidiano di nuove sfide e preoccupazioni. E ho bisogno, come sempre, di ragionarci attraverso gli strumenti che riconosco miei – la drammaturgia, la messa in scena, l’interpretazione – per inchiodare al muro i padri sbagliati che potrei essere, usando tutta l’ironia e il sarcasmo che posso per esorcizzare queste paure.
Così ho pensato alle conversazioni con Massimo Recalcati sulla questione, e ho deciso di coinvolgerlo: lo chiamo, e Massimo mi dice di sì, che gli piace e che faremo il progetto insieme. E mi viene in mente che un padre si sostanzia nel suo confronto – anche mancato – con la madre e che essi, padre e madre, sono tali solo perché di fronte a loro esistono, inflessibili, i figli. Eccolo qui il prossimo lavoro: prima un solo spettacolo, ma nel tempo di un pomeriggio è già trilogia, così come mi piace e mi serve fare da una decina di anni a questa parte. Partirò dallo stravolgimento delle figure di “padre – madre – figlio”, per riportarle, nude, all'essenza delle loro relazioni. Uno sguardo sul presente, per indagare quanto profonda e duratura è la mutazione delle famiglie millennials e quanto di universale, eterno, resta ancora».
Teso a cogliere aspetti reconditi di una stagione che Recalcati definisce del “tramonto dei padri”, Perrotta investe il proprio corpo di tre figure di uomini, diversi per estrazione sociale e vissuto: «Tutti e tre – conclude l’attore – di fronte a un muro: la sponda del divano che li separa dal figlio. Il divano, come il figlio, in scena non c’è»
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