Era il 1921 quando sei misteriosi, affascinanti personaggi occuparono in modo deciso il palcoscenico del Teatro Valle di Roma. Lo conquistarono evocando il loro dramma e con la loro grandezza hanno segnato la storia del teatro italiano. Da quel momento sono tornati più volte, ovunque, cambiando natura o lingua, ma mantenendo l’inquietudine e la tensione di un’opera capitale. E di nuovo sono assieme, quei personaggi, portando con loro una prospettiva ancora diversa: nella lettura del regista Luca De Fusco, infatti, il capolavoro di Pirandello è un terreno fertile per mettere a confronto teatro e cinema. Affascinato dalle possibili contaminazioni tra i due media, De Fusco ha da tempo affrontato codici stilistici e interpretativi in cui coniugare presenza viva dell’attore e immagine riprodotta in presa diretta. Spiega il regista: «È come se lo spettatore assistesse contemporaneamente a due spettacoli, uno teatrale e uno cinematografico. Restano le piccole figure reali viste a occhio nudo, come sempre a teatro, ma appaiono anche dei giganti onirici proiettati su velari o sulle pareti fisiche del teatro». Dal 2010, partendo dal Pirandello di Vestire gli ignudi, il regista ha allestito altri testi, altri spettacoli – tra cui una scintillante Orestea: torna ora a Pirandello per una naturale conclusione del viaggio, con i Sei personaggi, quale summa della riflessione sulla natura del teatro e della rappresentazione. Senza dimenticare che l’autore siciliano, affascinato dal cinema, di lì a poco avrebbe scritto I quaderni di Serafino Gubbio operatore, a completare il Si gira iniziato dieci anni prima.
«Riletto in questo modo – dice De Fusco – il capolavoro pirandelliano rivela essere anche una riflessione sulla natura di due linguaggi, il cui confronto si affacciava alla ribalta negli anni della stesura del testo, quando Pirandello descriveva la natura del linguaggio filmico come linguaggio visionario. E i nostri Sei personaggi saranno presentati non come fantasmi, ma come vere e proprie visioni».
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