Torna il celebre Mistero buffo di Dario Fo nella vibrante e divertente interpretazione di Ugo Dighero: un omaggio al Premio Nobel che mostra ancora intatta la sua grande forza comica e dissacrante.
È stato uno dei cavalli di battaglia di Dario Fo, la fabulazione che l’ha reso celebre in tutto il mondo, lo spettacolo-contenitore che volava sulle giullarate medievali per planare come un falco sulla satira politica e sull’attualità. Il Mistero buffo è un contenitore ampio, ricco, magmatico, sorprendente e divertente, lirico e poetico, tagliente e aguzzo come una lama affilata.
Di quell’enorme patrimonio di invenzioni si fa carico Ugo Dighero, che con il Teatro dell’Archivolto propone una sua interpretazione di due celebri passi del Mistero Buffo. A partire da Il primo miracolo di Gesù bambino, monologo che affonda le sue radici nei Vangeli aprocrifi e diventa una parabola di grande, popolare sensibilità. Il secondo è il travolgente La parpàia topola, tratto dal Fabulazzo osceno del 1982, storia di un contadino sempliciotto cui va in sorte l’enorme eredità del padrone. E lui, misogino e scorbutico, si trova circondato da aspiranti spose.
Ma al di là delle vicende e delle trame, le due fabulazioni sono terreno impervio per ogni attore: mirabolanti creazioni di linguaggi fantastici, misto di dialetti e grammelot, storie scabrose che si mutano in miracoli poetici, i testi di Mistero buffo richiedono all’interprete doti non usuali, capacità camaleontica di evocare i mille personaggi chiamati in causa, di coniugare Medioevo e presente, di tenere un occhio sul testo e uno sull’improvvisazione. Come ha spiegato Ugo Dighero: «Sono pezzi di affabulazione pura in cui chi racconta interpreta anche tutti i protagonisti che dialogano tra loro, quindi bisogna usare svariate tecniche, soprattutto la commedia dell’arte. Bisogna entrare e uscire velocemente da tutti i personaggi (a volte tre o quattro in scena); è un arzigogolo virtuosistico in cui si deve essere veloci e preparati. Una volta che si riesce a gestire tutto questo è come sedersi al volante di una Ferrari che bisogna saper guidare, ma va che è una meraviglia. I brani sono scritti sapientemente, con dei tempi comici favolosi ed è un cavallo che galoppa in maniera forsennata. Quando si riesce a starvi sopra è un godimento per chi interpreta e spero anche per chi ascolta».
Powered by iCagenda