Una favola popolare, raccolta da Giambattista Basile nel Cunto de li Cunti, è la base da cui parte Emma Dante per la sua nuova creazione, un affresco umano dove si mescolano Shakespeare e Commedia dell’Arte.
Emma Dante ha sempre portato al centro dei suoi lavori le dinamiche tragiche, addirittura tribali, della famiglia: così avveniva nella “trilogia” composta agli esordi, con mPalermu, Carnezzeria, Vita Mia, cui si è legato, recentemente, quel capolavoro che è Le sorelle Macaluso. Ma, contemporaneamente e parallelamente, scorre un magma altrettanto doloroso e drammatico che spinge Emma a raccontare i falliti, i diversi, gli emarginati (non esclusi gli attori), accomunati da un costante, feroce, bisogno d’amore.
Per questa nuova creazione, la regista palermitana, affiancata dai suoi eccezionali interpreti, incontra la scrittura barocca di Giambattista Basile, quel Lo cunto de li cunti che già affascinò Roberto De Simone e, al cinema, Matteo Garrone.
La regista che ha segnato in modo indelebile il teatro italiano degli ultimi anni, continua dunque, con La scortecata, l’esplorazione dell’animo umano attraverso il teatro. «Lo cunto de li cunti overo lo trattenimiento de peccerille – ricorda la Dante – noto anche col titolo di Pentamerone (cinque giornate), è una raccolta di cinquanta fiabe raccontate in cinque giornate. Basile crea un mondo affascinante e sofisticato partendo dal basso, dalla cultura popolare, dal dialetto napoletano nutrito di espressioni gergali, proverbi e invettive popolari, e produce modi e forme espressamente teatrali tra lazzi della commedia dell’arte e dialoghi shakespeariani».
Si intuisce la fascinazione di Emma Dante per quell’universo barocco e macabro, impastato di Sud e sesso.
La storia scelta dal repertorio del Cunto è una frenesia di travestimenti e magia, di ironia e gioco ma sfiora anche un tragico, ineluttabile, lato oscuro, come in ogni favola.
Spiega ancora Emma Dante: «In una scena vuota, dalla narrazione in terza persona fino all’immedesimazione con i personaggi, tre uomini, a cui sono affidati anche i ruoli femminili come nella tradizione del teatro settecentesco, drammatizzano la fiaba incarnando i protagonisti di questa storia, due vecchie e il re. Umorismo, volgarità, terrore – dice – saranno gli elementi principali di questa fiaba rivolta a tutti coloro che, nella vita, sono riusciti ad invecchiare senza diventare adulti».
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