Palazzo Nicolò Grimaldi
Edificato dai fratelli Domenico e Giovanni Ponzello a partire dalla metà del settimo decennio del Cinquecento per Nicolò Grimaldi – chiamato “il Monarca” per la sua ricchezza – sull’estensione di ben due lotti edificabili e terminato tra il 1572 e 1579.
L’ampiezza del terreno a disposizione e la particolare posizione dell’edificio nei confronti dell’orografia del luogo, “in costa” lungo il fianco della collina di Castelletto, diviene l’occasione per i Ponzello per studiare una disposizione particolarmente scenografica degli spazi con i quali la residenza si apre sulla Strada Nuova. A un atrio al livello della via segue così, a un livello sopraelevato, un cortile sul quale affacciano il loggiato del piano nobile e, sul fondo, lo scalone monumentale organizzato attraverso una doppia rampa affrontata. Una scenografia arricchita dall'uso di materiali pregiati quali la pietra di Finale e il marmo bianco di Carrara e della tradizione locale, quali la pietra di Promontorio, composti e accostati secondo le modalità più raffinate.
Terminato così nella sua architettura, in conseguenza di un crollo delle fortune economiche del committente, legato a doppio filo alle sorti finanziarie dell’impero spagnolo, il palazzo venne quasi subito venduto (nel 1593) a Gio Battista e Stefano Doria e, nel 1596, a Giovanni Andrea I Doria, duca di Tursi e principe di Melfi nonché nipote di Andrea Doria. Iscritto fin da subito nei Rolli al
primo bussolo e definito dal nuovo proprietario in chiave di magnificenza, il palazzo affaccia sulla Strada Nuova con le due ali loggiate, realizzate dai lombardi Taddeo e Battista Carlone e da Battista Orsolino, e modulate, dal punto di vista dell’architettura e della spazialità, su quelle già realizzate dal Grimaldi per il cortile interno, tanto da far pensare all’esecuzione di un progetto già delineato nella prima fase del cantiere di costruzione. Il risultato è di così ampio respiro da far decidere a Rubens, nell’edizione dei Palazzi Moderni di Genova pubblicata ad Anversa nel 1622, di pubblicare il rilievo della sola metà della facciata. Due anni dopo la realizzazione delle ali, il Doria fece sistemare anche il giardino superiore, completando così la scenografica sequenza atrio-cortile-scalone-giardino che secondo alcuni critici arriva ad anticipare soluzioni barocche poi sviluppate appieno nei palazzo di Via Balbi e di Via Cairoli. È infine del 1602 l’apertura di una tribuna che permetteva al principe Doria di assistere alle funzioni che si svolgevano nella chiesa di San Francesco di Castelletto, collocata alle spalle del palazzo: la tribuna, opera di Taddeo Carlone e aperta accanto alla cappella della famiglia Grimaldi, consentiva infatti l’accesso alla chiesa direttamente dal palazzo.
Soppresso l’ordine che animava il convento e officiava la chiesa, poi demolita a inizio Ottocento, il palazzo venne acquistato dai Savoia da Maria Giovanna Doria, duchessa di Tursi, nel 1820 e ampliato a monte. Dopo aver ospitato l’ordine gesuitico tra il 1838 e il 1848, dal 1850 è sede del Municipio di Genova, che vi collocherà una piccola parte delle collezioni tra cui il celebre Cannone di Niccolò Paganini; nel 1960 affiderà poi all’architetto Franco Albini, già attivo nella ristrutturazione dei musei comunali, la realizzazione di nuovi uffici organizzati nello spazio del giardino posteriore, reinterpretando così in chiave moderna l’antico “costruire in costa”.
A seguito di un generale riordino dei percorsi espositivi dei musei civici, è oggi direttamente collegato con Palazzo Bianco.
(VisitGenoa)