Il Palazzo Ducale di Genova: "O Paxo"

Sede di mostre, luogo di incontri, spazio per eventi e centro focale del centro storico genovese…il Palazzo Ducale. Una presenza quasi scontata, ferma, immutabile, che da sempre troneggia sull’iconica piazza De Ferrari e con una storia tutta da raccontare. “O Paxo”; così il suo appellativo nella parlata locale, dietro alle sue mura nasconde una storia centenaria culminante con le pagine più gloriose della Serenissima Repubblica, sebbene la sua evoluzione ed il suo sviluppo durante i secoli passati non siano quasi mai stati lineari.

In breve...

Nel 1291 i Capitani del Popolo Oberto Spinola e Corrado Doria (forma di governo antecedente a quella “dogale” del 1339) decisero di dotare la città di un palazzo di governo, edificio fino ad allora inesistente. Questo nuovo edificio nacque nella fattispecie dall’accorpamento e dalla fusione di due principali costruzioni: il nuovo “Palazzo degli Abati” (di cui la famosa “Loggia”) ed il Palazzo di Alberto Fieschi, del nobile in esilio e dotato di una torre di sei piani d’altezza. Diventerà Palazzo Ducale nel 1339 con l’elezione del primo Doge Simone Boccanegra. Nel 1590 si deve il primo dei due più grandi interventi che interessarono il palazzo e la sua torre, ad opera di Andrea Ceresola detto il “Vannone”. Sono di quel tempo i due cortili interni, il maggiore ed il minore, la grande cisterna sotterranea, il grande atrio coperto oltre il portone, e lo scalone a forbice che conduce al piano nobile. Anche la sopraelevazione in mattoni della torre, corrispondente alla cella campanaria, è del Vannone.

Ma un tragico evento segna la storia dell’edificio, distrutto da un incendio il 3 novembre del 1777. Questo evento porterà dunque al secondo ed ultimo grande intervento condotto questa volta da Simone Cantoni. Tra il 1778 ed il 1783 vennero ricostruiti la facciata tra le due ali, il salone ed il “salonetto” e grandi parti del piano nobile. Si sovrappose così, a ciò che restava dell’impianto manierista del Vannone, uno neoclassico di grande magnificenza ed impatto estetico. Tuttavia gli anni della gloriosa Repubblica giungevano al termine e, nel 1797, il Palazzo Ducale fu l’epicentro delle sommosse popolari insieme a piazza dell’Acquaverde. 

Nel 1815, infine, Genova perde per sempre la sua identità di stato autonomo e con lei il palazzo stesso, che viene spogliato di tutte le sue funzioni. Esso divenne sede della magistratura locale che vi rimarrà sino al 1975. Dopo alcuni restauri del 1935 sarà Giovanni Spalla, con un imponente restauro, a ridonare il palazzo alla cittadinanza nel 1992

Ma veniamo brevemente alla “Torre Grimaldina”... parte del primitivo palazzo medievale di Alberto Fieschi, essa faceva parte del carcere segreto del palazzo, operativo dal ‘400 agli anni ‘30 del ‘900. In esso venivano detenuti prigionieri politici, oppositori dello stato, personaggi in attesa di riscatto e via dicendo. Tra i tanti che passarono a palazzo si ricordano Nicolò Paganini, Jacopo Ruffini, il Pirata Dragut, il Doge Paolo da Novi, Domenico Fiasella, Sinibaldo Scorza e molti altri…Circa il curioso nome della torre pare fosse uso, tra i carcerieri, assegnare nomi alle celle del carcere. Tra i nomignoli che ricordiamo vi sono: Donne, Galeoni, Examinatori, Sicurezza, Stanza della Cappella ed infine “la Grimaldina”. Si ipotizza dunque che la torre avesse preso il nome da una delle celle del carcere segreto, forse una delle celle che si trovavano appunto nei due ultimi piani della torre stessa. Una torre di 50 metri di altezza, con sette piani, di cui solo due oggi si elevano al di fuori di Palazzo Ducale, e con una pianta rettangolare (non quadrata!)...... Simbolo del potere del governo della Serenissima Repubblica, dall’alto della sua terrazza ha sventolato per secoli e sventola ancora oggi il simbolo di una città tra le più belle, ricche ed affascinanti al mondo: la Croce di San Giorgio che, giorno e notte, veglia sulla Superba.

 

Per i più curiosi:


Non vi è una esatta data di costruzione alla quale si può risalire in quanto il complesso che vediamo oggi nel centro della nostra città è il risultato di diverse architetture e processi facenti parte di una storia cominciata nel lontano 1291. In quell’anno, i Capitani del Popolo Oberto Spinola e Corrado Doria (forma di governo antecedente a quella “dogale” del 1339), forti degli ultimi successi e trionfi genovesi come alla Meloria, decisero di dotare la città di un palazzo di governo, edificio fino ad allora inesistente. A tal fine, fu identificata la zona attorno al colle di San Domenico, zona rialzata rispetto al resto del centro storico, corrispondente all’attuale De Ferrari, nella quale si trovavano innumerevoli palazzi e proprietà della famiglia Doria, o d’Oria e dei Fieschi. Attraverso l’acquisto e l’accorpamento di diversi edifici siti sulle odierne Via Tommaso Reggio, Salita del Fondaco e Salita dell’Arcivescovado si andò a creare il primo nucleo edificato dal quale sorse il cosiddetto Palazzo del Comune. Questo nuovo edificio, sede del governo locale, nacque nella fattispecie dall’accorpamento e dalla fusione di due principali costruzioni: il nuovo “Palazzo degli Abati” (di cui la famosa “Loggia”) ed il Palazzo di Alberto Fieschi, del nobile in esilio e dotato di una torre di sei piani d’altezza.

 

                                                           

 

Il volume e le consistenze di parte dell’antecedente Palazzo del Comune come da rilevazioni di Orlando Grosso durante i restauri del 1935. Sulla sinistra si pone il rimanente loggiato del Palazzo degli Abati, del 1291 e, sulla destra, il volume di Palazzo Fieschi del 1270. Il prospetto così rappresentato è quello che ancora oggi si affaccia su via Tommaso Reggio a testimonianza dell’origine medievale quasi scomparsa del palazzo. Da riportare che queste facciate medievali sono ricostruzioni e ricomposizioni effettuate negli anni ‘30 del novecento e non componimenti originali. Sotto, una ricostruzione completa ideale della pianta trapezoidale del Palazzo del Comune comprendente il loggiato al piano terreno e i due piani sopraelevati ad ordini di trifore e quadrifore. La merlatura sulla cima dell’allora “Torre del Popolo” scomparirà nel 1590 con la sopraelevazione della cella campanaria in mattoni ad opera del Vannone. La barra rossa ad indicare le parti riprodotte nei restauri del 1935 e visibili, fino al primo piano, tutt’oggi


Non si hanno notizie certe sull’architettura e la costituzione del nuovo palazzo di governo a quel tempo. Notizie frammentarie e ricostruzioni planimetriche alludono ad un edificio con pianta trapezoidale di circa 1000m2 di superficie, con un piano porticato lungo la strada, su tre piani di elevazione, ad ordini di trifore e quadrifore, con al centro una torre: la “Torre del Popolo” (quella del Fieschi) ed esattamente colei che diventerà, qualche secolo dopo, la “Grimaldina”. Alcuni alludono anche all’esistenza di un cortile interno al nuovo palazzo che, grosso modo, andrebbe a coincidere con l’attuale Cortile Maggiore di Palazzo Ducale. Il Palazzo del Comune divenne infine Ducale nel 1339, a seguito dell’elezione del primo Doge perpetuo Simone Boccanegra ed il suo sviluppo continuò a grandi linee sulla scia di ciò che era stato fatto fino ad allora: un continuo accorpamento di edifici, collegati da ponti aerei e muraglioni che cominciarono a dare al palazzo l’aspetto di una vera e propria fortezza. A tale proposito, è datata circa alla metà del 1400 la costruzione della famigerata “cortina”: quel corpo di fabbrica che chiudeva la piazza interna dell’allora palazzo e che ospitava le guarnigioni di stanza nel centro di Genova. Nata forse per la cosiddetta “sindrome del colpo di stato” essa fa riflettere sulla natura del palazzo che, lungi dal condividere la stessa natura del forse più noto Palazzo Ducale di Venezia, non era mai stato inteso come una reggia (su alcune carte del XVIII secolo si ritrova la scritta “Real Palazzo”) ma bensì come una piazzaforte, una fortezza, un palazzo di governo, che riunisse tutte le magistrature dello Stato e che fosse inespugnabile in caso di sommossa popolare. La cortina assumerà il suo aspetto definitivo alla metà del ‘500 (esplicativo è l’acquerello del Cambiaso) quando la sua altezza è portata a tre piani e la sua profondità aumentata creando un fronte loggiato verso il cortile interno del quale si ha memoria tramite un unico disegno circa: “L’aspetto delle logge verso la piazza del Real Palazzo” di Ricca. Quest’ultime servivano presumibilmente non solo per dare aria alle guarnigioni ma anche per dar posto agli spettatori durante le cerimonie che si svolgevano nel cortile interno del palazzo. 

 

 

L’insolito aspetto delle logge interne della cortina nel prospetto sull’allora “piazza d’Armi”. Sulla pianta sotto riportata equivalgono allo spazio cerchiato in rosso. 

 

Ma arriviamo al 1590, anno in cui si deve il primo dei due più grandi interventi che interessarono il palazzo e la sua torre, ad opera di Andrea Ceresola detto il “Vannone”. Un intervento che finalmente dona una prima omogeneità al palazzo rendendolo più uniforme nella sua fabbrica e dando alcuni degli impianti architettonici che vediamo ancora oggi: i due cortili interni, il maggiore ed il minore, la grande cisterna sotterranea, il grande atrio coperto oltre il portone, e lo scalone a forbice che conduce al piano nobile. Il pian terreno viene quindi ideato come spazio distributivo di incontro e di trattativa; gli ambienti intorno ai porticati ospitavano le Cancellerie dei vari Magistrati (i ministeri del tempo) e i locali adibiti a ritrovo politico.  La torre è essa stessa interessata dall’intervento perché è proprio il Vannone a darle l’aspetto che in larga parte vediamo ancora oggi: è sua l’aggiunta della cella campanaria in mattoni rossi che corrisponde al settimo ed ultimo piano della torre; infatti, la torre originaria del Fieschi terminava in corrispondenza della serie di archetti della ben visibile torre medievale.

 

                                             

 

La volumetria completa al piano terreno di Palazzo Ducale in seguito agli interventi del Vannone del 1590. Si nota, oltre al corpo di fabbrica altamente asimmetrico della cortina, la eguale asimmetria delle ali laterali. Essa verrà corretta solo nel 1861 da Gardella a seguito della demolizione della cortina con l’ampliamento dell’ala di ponente. Curioso far notare che la ripartizione degli spazi interni risulti altamente differente da quella odierna; a risultato delle numerose e mal pianificate opere di risistemazione interna di inizio ottocento. Si può presumere che sia di quel periodo la perdita delle decorazioni pittoriche ed artistiche che ornavano le sale del piano terreno e che sono state descritte dal Ratti nella sua guida del 1780

Segue un acquerello di Domenico Cambiaso che illustra il caratteristico angolo tra la cortina, il palazzo Arcivescovile ed il fronte su via Tommaso Reggio con la Torre Grimaldina già sopraelevata. Si può datare a fine 1600 circa in quanto la cortina presenta il suo aspetto finale con le due torri angolari di ponente, qui in foto, e levante. Si nota ancora il fronte manieristico vannoniano della fine del cinquecento sul fronte sotto la Grimaldina; oggi perduto. 

 


Ma un tragico evento segna la storia dell’edificio, distrutto da un incendio il 3 novembre del 1777 con danni estesi a tutto il piano nobile, ai saloni e anche alla cortina. Questo evento porterà dunque al secondo ed ultimo grande intervento condotto questa volta da Simone Cantoni. Tra il 1778 ed il 1783 vennero ricostruiti, con tecniche innovative per l’epoca, la facciata tra le due ali, il salone ed il “salonetto” e grandi parti del piano nobile. Si sovrappose così, a ciò che restava dell’impianto manierista del Vannone, uno neoclassico di grande magnificenza ed impatto estetico. La facciata sulla precedente piazza d’armi ed odierna piazza Matteotti rimane il miglior esempio di primo stile neoclassico a Genova; con la sua partitura a tre ordini ed una policromia sobria ed elegante.

 

                                       

 

L’intervento di Simone Cantoni, a seguito dell’incendio, cominciato nel 1778. Sul prospetto della facciata tre ordini di aperture con colonne binate doriche e ioniche. Otto nicchie nel terzo ed ultimo ordine con otto statue di prigionieri illustri della Repubblica (rettangolo rosso). Ai lati della scalea di marmo, i due piedistalli con la raffigurazione delle statue monumentali dei Doria (cerchi rossi). 

Sotto, il prospetto trasversale della facciata in cui si apprezza la volumetria del corpo centrale e, nello specifico, dei due saloni e delle loro volte. Si può desumere, da questa rappresentazione, l’elevazione iniziale del palazzo vannoniano che conservava i due saloni distrutti nel 1777 (spezzata indicata in rosso) sensibilmente meno elevata di quella di Cantoni. La facciata neoclassica inquadrata in rosso è addossata alla facciata cinquecentesca e svolge una funzione di mantenimento statico della volta a “carena di nave rovesciata”; compito svolto anche dai tiranti che si trovano nei sottotetti. Il piano terreno conserva invece l’impianto originale del Vannone del 1590. 

 

 

Per coronare questa esposizione riporto due testimonianze dell’epoca che ben rendono l’idea di cosa fosse il palazzo appena dopo il rovinoso incendio. Esse sono inoltre tra le uniche testimonianze scritte a descrivere le fattezze dei due grandi saloni cinqecenteschi prima del disastro. 

 

F.Milizia, op.cit., pp-18.19

“La grandiosa distribuzione di un vasto portico fiancheggiato da due cortili che quantunque di assai diversa grandezza pure a primo colpo d’occhio soddisfano un’apparente ben intesa simmetria. Sono questi cortili circondati da due ordini di logge, sostenute da colonne, ed il restante ad archi. Le scale regie, per le quali si ascende al piano reale, sono e vaste e comode abbastanza se forse non si voglia ascrivere ad incomodo la soverchia lunghezza del secondo braccio che conta circa 43 scalini. Salito il primo braccio un amplissimo ripiano porge a destra ed a sinistra  l’adito agli altri due braccia: a destra si ascende all’armeria ed a sinistra all’abitazione del Serenissimo, ed alli saloni delle pubbliche adunanze; al che tutto dà nobile ingresso la loggia, che circonda il cortile occidentale. Il salone, che serve alle adunanze del maggior consiglio, è superiore al portico ed è lungo 155 e largo 67 palmi genovesi (un palmo = 24.8cm). Questo salone, le cui sette finestre disposte nel lato meridionale ad eguali intervalli guardano sulla piazza d’armi fu da prima coperto con soffitto piano di legname che per tradizione dicesi fosse assai ben ornato e ricco di intagli e dorature; fu incendiato da una bomba l’anno 1684 assieme all’altra minor sala; in cui adunasi il minor consiglio nell’estate; esposta a tramontana. Furono indi restaurate e coperte con soffitto a conca, ossia padiglione, postato assai basso, specialmente quello della maggior sala, che dal pavimento alla sommità del soffitto non contava che palmi 60 circa. Con poca avvedutezza pure furono queste due sale coperte ambedue con un sol tetto a padiglione, il quale e per la sua vastità, e più per la mal disposta travature e concatenazione, a poco a poco tanto spinse e spezialmente l’ala a mezzodì che fece propendere la sottoposta muraglia poco meno d’un palmo. Nella decorazione di queste due sale vi si segnalò la nobilissima famiglia Giustiniani con amplissime largizioni; ed i professori, che si operarono furono per i quadri a fresco si nel soffitto che nelle pareti il Franceschino e per l’ornato Tommaso Aldobrandi. Parodi vi dipinse a chiaroscuro assai ben condotto alcune virtù nelle pareti, ed i tre grandi quadri ad olio erano opera del celebre Solimene. Tutte queste insigni opere furono da fortuito incendio il dì 3 novembre 1777 rovinate.” 


Ancora dal Ratti e la sua “Instruzione di quanto più bello può vedersi in Genova” (1780):


“ In faccia alla prima (il portale della cortina) è la seconda porta, a lati della quale sono due statue in marmo di statura gigantesca eretta l’una al principe Andrea Doria, opera di Montorsoli, alzata l’altra al principe Giovanandrea, lavoro di Taddeo Carlone. Vi s’ascende per magnifica scalinata e s’entra in vasto e nobile portico. Sono nello stesso piano varie sale e salotti nei quali si radunano diversi Magistrati. In quello ove congregano gli Ecc.mi Procuratori e Coadiutori dell’Ecc.ma Camera è una tavola della B.Vergine con i SS.Battista e Giorgio del Paggi. Nella sala del Magistrato Ill.mo de Supremi Sindacatori una tavola della Vergine con il gusto di Bernardo Strozzi. La sala già dei Sindacatori Ordinari ed ora del Magistrato delle fortificazioni è dipinta dall’abate Lorenzo Ferrari il quale anche vi ha fatto la tavola dell’Assunzione.”


E riguardo alle due sale e l’armeria:


“Sarà in questa nuova sala riaperto numero maggiore di nicchie per riporvi le statue de benemeriti patrizi e saranno restaurate le danneggiate che già vi si vedevano di Tommaso Raggio, Ansaldo Grimaldi, Vincenzo Odone, e Giulio Sale; l’altra del Doge Giambattista Cambiaso e l’ultima del Duca Ludovico de Richelieu. 

Da ultimo si potrà vedere l’armeria, in cui oltre la quantità d’armi d’ogni specie si conservano due celebri monumenti; uno è il cannone di corame che fu preso sotto Chioggia ai veneziani ed è fama che fosse il primo dopo l’invenzione di tale guerresco instrumento, l’altro di metallo che vedesi sopra la porta è un antico rostro di nave e credesi l’unico avanzo di tal genere d’antichità rimasto al mondo.”


Ma tornando al nostro viaggio storico giungiamo quindi alla fine del XVIII secolo. Gli anni della gloriosa Repubblica giungevano al termine e, nel 1797, il Palazzo Ducale fu l’epicentro delle sommosse popolari insieme a piazza dell’Acquaverde. Nel giugno di quell’anno, gli insorti presero di mira il palazzo abbattendo le statue di Andrea Doria (opera di Montorsoli, 1540) e di Gio Andrea Doria (opera di Carlone, 1601) poste sui piedistalli ai lati della scalea cantoniana. Le statue dei “Liguri illustri” presenti nei saloni vennero anch’esse distrutte, assieme al trono dogale e al Libro d’Oro della Nobiltà che, portato via da palazzo, fu poi bruciato sulla pubblica piazza. Nel 1815, infine, Genova perde per sempre la sua identità di stato autonomo e con lei il palazzo stesso, che viene spogliato di tutte le sue funzioni. Esso divenne sede della magistratura locale, che vi rimarrà sino al 1975, e gli unici spazi a conservare la loro funzione originaria furono esclusivamente le carceri. La cortina fu demolita nel 1850 a cui seguì, nel 1861, l’intervento di Ignazio Gardella che ricompose in maniera uniforme le due ali laterali, ora slanciate su di una piazza aperta. Citiamo ancora l’intervento di inizio novecento, degli anni 1935-40 ad opera di Orlando Grosso il cui obiettivo era quello di recuperare e ricostruire le architetture medievali all’interno del Palazzo, nascoste in precedenza. Sono sue le ricostruzioni delle facciate su via Reggio del Palazzo del Fieschi e degli Abati, la ripulitura della Torre Grimaldina nel suo assetto seicentesco e la “finta facciata” su piazza De Ferrari”. Perché mai finta? Intanto ricordiamoci che questa “facciata” altro non era che un’ala laterale posta di fianco all’ormai scomparso colle di S.Andrea. Qui Grosso si era prefissato di ripristinare una presunta “decorazione della fine del secolo XVI” che, nel mezzo della parete, rappresentava la Vergine con alcuni Santi, opera di Domenico Piola. Grosso trasformò il tutto in termini classicisti con un’architettura dipinta tipica delle facciate genovesi a coprire tutta l’ala oltreché ad aprire i tre portali, prima inesistenti, su piazza De Ferrari. E dopo il Grosso sarà infine Giovanni Spalla, con un imponente restauro, a ridonare il palazzo alla cittadinanza nel 1992

 

 

Sopra, la destinazione d’uso e l’aspetto del palazzo durante il secolo scorso. A sinistra si vede la sala del Minor Consiglio ingombra degli arredi dell’allora Tribunale giudiziario ospitato a palazzo e che vi resterà sino al 1975.

 

 

 

La sala del Minor Consiglio ad oggi dopo i restauri del 1992; parte dell’impianto cantoniano del 1778. Al centro la balaustra in marmo a forma ellittica con, sotto lo specchio, il rialzo dove si trovava la Sedia Dogale. L’apparato pittorico e decorativo è di Carlo Giuseppe Ratti che, nelle tredici tele a metà altezza che circondano l’intero perimetro della sala, riporta le figure allegoriche femminili delle virtù del buon governo (Sapienza, Pace con la Giustizia, Fortuna, Verità, ecc…). Nella volta, al centro, “l’Apoteosi della Repubblica con l’allegoria della divina Sapienza” e, nella lunetta sopra la balaustra figura invece “Lo sbarco delle ceneri del Battista a Genova” mentre sopra l’ingresso dalla parte opposta, “Lo sbarco di Colombo nelle Indie”. Completa, sopra la piattaforma rialzata, lo stemma della Repubblica sulla volta. 

 

 

Il Maggior Consiglio, realizzato tra il 1778 ed il 1783 nella parte di palazzo prospiciente la piazza e la facciata stessa su idea di Simone Cantoni. L’ampia volta a carena di nave rovesciata non presenta travature che ingobrino l’estetica ma è tenuta in piedi da tiranti nei sottotetti e dall’elevazione accentuata della facciata che funge da supporto. La pavimentazione riprende, in maniera simmetrica, i motivi riportati sulla volta. Al centro, sul fondo, la piattaforma rialzata con balaustra dove si trovava la Sedia Dogale. Ai lati, due statue in stucco una della Giustizia e una della Prudenza. Ai lati dell’ingresso stanno altre due statue speculari in stucco, la Concordia e la Pace. Nelle nicchie laterali a destra e sinistra, oggi vuote, si trovavano otto statue di uomini illustri della Repubblica tra cui il Doge Giambattista Cambiaso e il Duca di Richelieu. Furono tutte distrutte durante i moti del 1797 insieme alla Sedia o “trono” Dogale. Le tele che circondano il perimetro della sala sono del 1805 per la venuta di Napoleone a Genova e rappresentano tutte forme neoclassiche di soggetti allegorici. La lunetta sopra la piattaforma rialzata è di Emanuele Tagliafichi: “Il doge Montaldo libera Jacopo di Lusignano, Re di Cipro”; quella sopra l’ingresso dalla parte opposta è di Giovanni David: “La battaglia della Meloria”. Sul grande spazio centrale della volta si trovava da subito l’opera di Domenico Tiepolo “La Liguria e le glorie dei Giustiniani”, quasi da subito deperito e quindi sostituito, nel 1866, con un dipinto di Giuseppe Isola: “Il Commercio dei Liguri”. I due grandi lampadari che troneggiano sulla volta sono stati installati durante i restauri del 1992. 

 

 

Ed infine, concludiamo il percorso artistico-architettonico degli interni di Palazzo Ducale con la magnificenza della Cappella Dogale; uno degli ambienti più belli di palazzo. Parte integrante del piano nobile e dell’appartamento del Doge essa è ricavata nel corpo di fabbrica medievale del palazzo; rivestita completamente dagli affreschi di Giovanni Battista Carlone degli anni 1653-55. L’apparato pittorico è tutto incentrato all’esaltazione dei fasti della Serenissima Repubblica di cui completano anche i due affreschi dello scalone vannoniano ad opera del Fiasella. Sulla volta, “I Santi protettori civici pregano la Vergine, Regina della città, per la sua salvezza e la sua prosperità” (Giovanni Battista, San Giorgio, San Lorenzo e San Bernardo). Sul lato a destra dell’altare figura la “Conquista di Gerusalemme da parte di Guglielmo Embriaco” mentre, a sinistra, “L’arrivo a Genova delle ceneri di San Giovanni Battista”. Sulla parete opposta all’altare trova invece posto l’affresco con “La Conquista delle Indie da parte di Colombo propagatore della Fede”. Sull’altare di marmo, fino al settecento, trovava posto la pala del Paggi della Madonna con i Santi Giovanni Battista e Giorgio sostituita poi dalla statua della Madonna Regina di Genova opera di Francesco Schiaffino. Infine, l’apparato decorativo con l’onnipresente tecnica del “Trompe l’oeil”, tipica del barocco genovese, dona alla Cappella una profondità ed uno slancio squisitamente maestosi. 

 

 

Ma veniamo ora per un attimo e per concludere alla torre del palazzo. L’abbiamo vista tutti, la vediamo tutti, forse dalle nostre finestre, tutti i giorni, o quando capitiamo a “Deffe” o in Piazza Matteotti. La Torre Grimaldina, conosciuta e sconosciuta allo stesso tempo, come per molti altri monumenti ed edifici iconici di Genova, tutti ne conoscono l’esatta collocazione ma stentano a ricollocarne la storia ed il significato.


E dunque, perché mai Grimaldina? Abbiamo detto che la torre faceva parte di un preesistente palazzo di Alberto Fieschi e dunque, la logica vorrebbe che quantomeno si fosse chiamata “Fieschina”... La prima cosa che dobbiamo ricordare è che, a partire dalla metà del ‘400 sino agli anni ‘30 del secolo scorso, l’area corrispondente ai sottotetti dell’ala ovest di Palazzo Ducale e la stessa torre costituivano il carcere segreto del palazzo. Questo era il luogo in cui venivano detenuti i prigionieri politici, oppositori dello stato, personaggi in attesa di riscatto e via dicendo. Tra i tanti che passarono a palazzo si ricordano Nicolò Paganini, Jacopo Ruffini, il Pirata Dragut, il Doge Paolo da Novi, Domenico Fiasella, Sinibaldo Scorza e molti altri...essendo un carcere segreto le notizie storiche certe circa il suo funzionamento sono frammentarie e limitate anche a causa dei danni subiti dall’archivio storico del Comune di Genova nell’ultimo conflitto mondiale. Quello che è certo è che fosse uso tra i carcerieri dare nomi e nomignoli alle celle della prigione; celle che si trovavano anche agli attuali sesto e settimo piano della torre (alcuni detenuti erano reclusi anche dentro la cella campanaria stessa). Tra i nomignoli che ricordiamo vi sono: Donne, Galeoni, Examinatori, Sicurezza, Stanza della Cappella ed infine “la Grimaldina”. La storiografia a noi giunta vuole dunque che la torre avesse preso il nome da una delle celle del carcere segreto, forse una delle celle che si trovavano appunto nei due ultimi piani della torre stessa. Rammentiamo anche che la torre, come la vediamo oggi, è il frutto non solo dei restauri che hanno ridonato il palazzo alla cittadinanza nel 1992 ma, principalmente, dei restauri condotti da Orlando Grosso nel 1935. Grosso è stato il primo ad eliminare le sovrastrutture e le modificazioni del tempo che avevano eliminato in larga parte l’assetto cinquecentesco della torre, riducendone le finestre, aprendo aperture sui suoi perimetri ed aggiungendo piani ammezzati per aumentare la capacità delle celle al suo interno.

 

                    

 

Due inquadrature della Torre Grimaldina prima e dopo i restauri di Grosso del 1935. Nella foto qui a sinistra si notano da subito differenze nella parte muraria della torre in quanto il corpo stesso è inglobato nel palazzo in maniera uniforme. Il piano sotto la cella campanaria, equivalente al sesto piano, risulta composto da due piani ammezzati di cui si possono vedere ancora oggi i resti dei soppalchi. Molte aperture della torre originale medievale sono murate e rimpiazzate da aperture ridotte con inferiate, anche al livello della cella campanaria. E sotto, la torre dopo i restauri del Grosso cessata anche la sua funzione all’interno del carcere di palazzo. Si nota da subito la messa in risalto degli interi sette piani della torre, seppur inglobati per i primi cinque all’interno del palazzo. Il piano sesto, sotto la cella campanaria è stato riportato ai suoi volumi originali e quindi eliminati i piani ammezzati con anche la riapertura ed il ripristino delle bifore e monofore originali. Identica logica applicata anche all’ultimo piano, la sopraelevazione in mattoni con le monofore riaperte e riportate alle forme originarie. 


Insomma, una torre con una storia molto curiosa ed enigmatica, curiosa ed enigmatica forse tanto quanto il palazzo stesso con il quale è sorta ed è ancora legata oggi. Una torre di 50 metri di altezza, con sette piani, di cui solo due oggi si elevano al di fuori di Palazzo Ducale, e con una pianta rettangolare (non quadrata!)...... Simbolo del potere del governo della Serenissima Repubblica, dall’alto della sua terrazza ha sventolato per secoli e sventola ancora oggi il simbolo di una città tra le più belle, ricche ed affascinanti al mondo: la Croce di San Giorgio che, giorno e notte, veglia sulla Superba.

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