Palazzo Giacomo e Pantaleo Spinola

Ultimo tra i cantieri di Strada Nuova, il palazzo, edificato a partire dal 1583 per i due fratelli Spinola, Giacomo e Pantaleo, secondo un progetto che accosta due case speculari cui si accede dalla via da due portali identici, inquadrati da un ordine rustico in marmo e pietra di Finale;

le due dimore occupano un lotto acquistato inizialmente da un Vivaldi (1551) poi rivenduto a Stefano Lomellini (1568), rimasto inedificato per un trentennio. Alla morte di Giacomo, la dimora di ponente venne ceduta, nel 1609, a Filippo Adorno e, dopo un generale ampliamento verso il giardino subito a inizio Settecento, passò, per fedecommesso, ad Agostino Spinola a metà Ottocento.
La dimora “gemella”, organizzata sul lato di levante passò invece a Giacomo Saluzzo nel 1612, agli Scassi dopo il 1825, a Stefano Cattaneo nel 1875 e, infine, ai Cattaneo Adorno.
Due dimore gemelle che però differiscono nella decorazione interna, affidata dagli Adorno nel 1624 a Lazzaro Tavarone, che vi affresca imprese familiari negli spazi dell’atrio e del piano nobile; il corpo a levante è invece caratterizzato da una decorazione ottocentesca commissionata dai Cattaneo. L’apparato decorativo condotto dal Tavarone, decisamente importante per qualità e diffusione, vede protagonisti alcuni membri della famiglia, tra cui spicca il Doge Antoniotto Adorno, effigiato mentre libera il Papa dall’assedio di Nocera, nel 1385. Al piano terra, invece, sono le vicende dei genovesi in Terra Santa a testimoniare la relazione speciale intessuta dalla città con il suo passato durante il Cinquecento: attraverso il pennello del miglior allievo del Cambiaso – come il Tavarone amava definirsi – si può ancora oggi vedere Guglielmo Embriaco mentre guida i balestrieri genovesi alla conquista di Cesarea e Gerusalemme, riportando in patria le più importanti reliquie custodite in Duomo.
Non particolarmente innovativa, la soluzione architettonica di accostare due appartamenti speculari viene testimoniata da Pietro Paolo Rubens che inserisce i rilievi dell’edificio all’interno della raccolta I Palazzi Moderni di Genova, nella seconda edizione pubblicata ad Anversa nel 1652.
La ristrettezza dei due lotti non consente, peraltro, soluzioni architettoniche di particolare rilievo: gli spazi sono pertanto organizzati secondo le esigenze pragmatiche e funzionali dell’uso quotidiano, permettendo ai due saloni del piano nobile di affacciare a valle, sui due giardini. Il palazzo così composto si erge quindi sulla strada con un prospetto molto semplice, organizzato sui tre registri del piano terreno, “agganciato a terra da un basamento bugnato in pietra di Finale, del piano nobile e del piano attico separati da marcapiani lineari. Recentemente restaurato, ha potuto quindi recuperare l’assetto decorativo – definito da architetture illusive, mascheroni e finestre a cartella a monocromo – testimoniato dallo stesso Rubens.

(VisitGenoa)

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