Genova, 14 giugno 1797
"I più entusiasti o sfrenati trassero d'un subito verso il palazzo Ducale.
Li precedeva un notaro, già beneficato dai nobili, e ai nobili devotissimo nei tempi di loro prosperità, il quale, più potendo in lui, com'è solito, la passione presente che la memoria dei beneficii passati, a nome del popolo richiedeva il Libro d'Oro. Custodivasi quel registro della ligure aristocrazia con molto di gelosia in un luogo appartato del palazzo, da cui si cavava soltanto all'uopo d'iscrivervi il nome dei pochi ammessi agli onori e alle prerogative della nobiltà. Ebbero il libro, cioè un libro che riconobbero per una copia: levarono urli e minacce chiedendo l'originale. Fu forza contentare quei furenti i quali, il volume recaronsi in trionfo sulla piazza dell'Acquaverde dove accatastavano materie accensibili, e la bussola del Doge, e l'urna destinata a ricevere i voti degli squittinii, e emblemi e scudi gentilizii, e tutto che avesse tratto all'antica aristocrazia che intendevano esterminare. Poi, infamato il libro con apposite virulentissime dicerie, e con atti piuttosto puerili che insolenti, ardevanlo tra le risa, le scede e i tripudii, come se veramente insieme col libro avessero distrutte le ambizioni, e ridotte ad un termine eguale tutte le condizioni civili"
Carlo Varese, Storia di Genova, libro XXXI